Last reviews by Film(amo) Lovers

Civil War

Al culmine di una delle (rare) sequenze d’azione di Civil war, per creare pathos, o sottolinearlo, a seconda dei punti di vista, Alex Garland, spara a tutto volume l’hip hop dei De La Soul.Seguono inquadrature dei superstiti condite da capelli al vento e slow motion come se piovesse; una roba che, se l’avesse fatta qualche altro regista (ad esempio Snyder) sarebbe oggetto di giustificate e facili ironie.Ma procediamo con ordine.Come ci avvisa gentilmente il titolo stesso, gli Stati Uniti sono dilaniati da una guerra civile.Texas, California e Florida hanno dichiarato la secessione mentre il Presidente, al suo terzo mandato, è asserragliato a Washington.Come siamo arrivati a tutto questo? Da quanto tempo procede la guerra? Garland non fornisce nessuna spiegazione, ci cala in media res, forse con l’intento di rendere universale la sua narrazione; nel frattempo infatti c’è stato l’Assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 quindi perché sprecarsi più di tanto?La fotografa Lee Smith (Kirsten Dunst) ed il collega Joel (Wagner Moura) decidono di provare a raggiungere la Casa Bianca per intervistare il Presidente e a loro si uniscono l’anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane Jessie (Cailee Spaeny).La trama di Civil war è ridotta all’osso ed assomiglia più che altro ad una sorta di macabro videogioco con più livelli di difficoltà.I personaggi poi, di fatto, non sono pervenuti.C’è la celebre fotoreporter apparentemente insensibile agli orrori dopo averne visti tanti, l’anziano collega che non vuole mollare la presa, Joel che vive in una sorta di stato di esaltazione continua dovuto all’adrenalina e Jessie, apparentemente giovane ed ingenua che si capisce dopo pochi secondi che in realtà è quella pronta a tutto pur di affermarsi come fotografa.Non c’è nessun approfondimento psicologico ed invero, a voler fare le pulci, a parte Sammy, gli altri non si capisce bene per chi lavorino

I tre moschettieri - Milady

Recensione del film per intero(sia la prima parte, D'Artagnan, che la seconda, Milady). I Tre Moschettieri di Bourboulon ha buone scene d'azione in piano sequenza ben dirette, la macchina da presa si muove, segue gli scambi di spada tra i personaggi e tramite anche la macchina a mano sa "sporcare" la resa dando proprio la sensazione di duelli serrati, che affannano i personaggi.A livello estetico di sono delle buone inquadrature e una comunque non male messa in scena di base, sono particolarmente belle le scene che tramite una buona fotografia sfruttano i tagli, i fasci di luce che entrano negli interni creando momenti dal bell'impatto visivo.Essendo il film la riproposizione del romanzo di Dumas, ha il fardello di voler ripercorrere il tutto, dunque si ha un po' la costante sensazione di correre un po' troppo, gli avvenimenti sono veloci, c'è poco respiro e seppur c'è voglia e intento di stare dietro ad un po' tutti i personaggi, questi non hanno tutti lo stesso spessore e utilizzo.Di partenza, manca una costruzione dell'amicizia dei tre moschettieri, il film inizia con l'arrivo di D'Artagnan a Parigi dunque i tre, Athos, Aramis e Porthos già si conoscono e sono affiatati tra loro, però questa fedeltà tra di loro non è "sentita" è di fatto presentata ma mancano delle scene che mostrino il loro legame, perciò anche la buona sequenza per resa visiva del carcere di Athos, il suo testamento che parla dei legami, dei suoi lasciti ha poco impatto a livello emotivo, senza contare i tre moschettieri più D'Artagnan sono stati insieme, a livello di film, per una pochissimo, dunque si nota un certo andare di corsa.Si riesce comunque a costruire il background di Athos, il suo tormento ed il film funziona nel suo complesso nel costruire personaggi grigi, anche gli stessi moschettieri, D'Artganan

Le apparenze

Marc Fitoussi, regista francese, firma un film intelligente e ben costruito. E' possibile, infatti, vivendo all'estero e avendo un buon tenore di vita, godere di ciò che si ha e costruirsi un mondo più di apparenze che di realtà. La protagonista in questione scopre il tradimento di suo marito, ma ella stessa non è indenne dalla trasgressione, sia pure a seguito di ciò che è successo. Cerca la vendetta, ma ella stessa è cercata. A un certo punto ci sarà anche una tragedia, le apparenze saranno a quel punto molto utili per uscirne fuori. Ma niente sarà come prima, la realtà reclama la sua parte e la vita dei protagonisti cambierà, ci saranno molto probabilmente altre apparenze. Vienna è l'ambiente, si percepisce ma non si vede molto. La musica c'è perché il protagonista dirige un'orchestra, ma questo è soprattutto un pretesto e l'occasione, la colonna musicale quasi non ne risente. C'è anche la biblioteca francese di Vienna, infine, ma anch'essa è uno sfondo. In primo piano ci sono delle persone che si agitano mosse dai propri sentimenti, curiosità e dicerie. Molto spesso, appunto, apparenze.

The Miracle Club

Le tre gentili signore, di differente età, che lasciano per la prima volta l'Irlanda per un viaggio a Lourdes, credono ai miracoli. Toccherà al loro parroco spiegare come stanno le cose. Questa è la cornice. La sostanza è che anni prima una quarta signora aveva lasciato l'Irlanda per necessità, ora è tornata, si unisce alle tre in cerca di miracoli e questo servirà a chiarire le cose tra loro. Non tutto scorre perfettamente nel film, ma l'insieme riesce a sfuggire ai pericoli di religiosità vera o presunta collegati a Lourdes, e restituisce un'esperienza in definitiva laica di ciò che la vita offre, nei condizionamenti culturali di ciascuno. Interpretazione molto buona, in particolare quella della quasi novantenne Maggie Smith. La serata passa piacevolmente.

The lovers - Ritrovare l'amore

Per un certo tempo la storia stenta a decollare, o forse non si capisce bene quale storia sia. Non è facile mettere in scena un racconto in cui la coppia, formata da due che da tempo hanno relazioni stabili fuori dal matrimonio e anzi stanno per divorziare, quali all'ultimo momento (senza rinunciare a ciò che era previsto) ritrovano il piacere di avere un amante… tra di loro. Una specie di circolo vizioso, dunque, reso con qualche salto logico forse, ma alla fin fine abbastanza piacevole, se inteso come un gioco di immagini. Quanto poi possa essere vero, ognuno se ne potrà formare una sua opinione.

Fuori dall'oscurita

Out of Darkness è un horror ambientato nel paleolitico con una struttura che in parte si rifà a film come Alien e Predator dove però nel terzo atto si cambierà un po' registro incentrando il tutto sul tribalismo umano su come tale specie si distrugga a vicenda.Cumming gestisce piuttosto bene il mistero, la creatura, il predatore, che sembra aggirarsi tra il clan dei protagonisti non è mostrata da subito, la regia funziona proprio nel non mostrare.La messa in scena fa il suo dovere, le scene di notte, tra il fuoco, funzionano bene, così come quelle tra le nebbia che riescono a creare la giusta atmosfera.Anche le tempistiche, gli attacchi del predatore non sono diretti, la regia seppur tramite meccanismi, si prende i suoi tempi prima degli agguati.Il solito espediente invece della creatura che si aggira in penombra per alimentare la tensione sa di troppo abusato e stravisto, nulla di gravissimo ma nel 2024 è qualcosa di evitabile.La protagonista Beyah è una ragazza che inizia ad avere le mestruazioni, ciò simboleggia anche il suo cambiamento, la sua maturazione, infatti da ragazza che "deve adempiere" ai bisogni sessuale del capo-clan Adem, diventerà una cacciatrice.Le dinamiche del gruppo si incentrano sul fatto che Adem ha promesso una terra fertile dove vivere ma in mezzo a loro c'è solo oscurità, Odal, il più anziano, è quello più impaurito ed infatti vorrà sacrificare dei membri del gruppo alle creature che crede essere un demone.Se comunque Odal ed anche Adem, quest'ultimo anche tramite la voglia di salvare il figlio Heron, sono personaggi si di funzione ma che per un film del genere fanno il loro, Ave l'altra donna presente nel gruppo e Geirr, il braccio destro di Adem rimangono un po' troppo in superficie senza esprimere troppo il loro punto di vista.Ave ha un dialogo proprio

Dr. Cheon e il talismano perduto

Action-fantasy con venature comedy che ha anche una storia tutto sommato interessante, si è della parti dello sciamanesimo, uno stregone imprigionato da un talismano vuole liberarsi dall'incantesimo e Cheon, l'erede dello sciamano che ha imprigionato la stregone, si ritroverà a fronteggiare tale situazione e a scontrarsi con il villain.L'inizio del film è divertente, Cheon e l'aiutante di fatto sono dei truffatori che guadagnando fingendo di cacciare degli spiriti, ci sono gag e momenti ironici.Quando il film si addentra più nel profondo della storia, nel fantasy e nelle atmosfere (molto)vagamente "horror", la messa in scena non si dimostra all'altezza.Purtroppo c'è un fortissimo utilizzo di cgi che ammazza i tentativi di creare atmosfera e la regia sembra attestarsi su livelli standard, non ci sono scenari impattanti o momenti davvero suggestivi, ad esempio la parte del cimitero manca di atmosfera anche perchè la fotografia è piuttosto base e di quelle già viste in tantissimi altri film che utilizza dei classici filtri e molti lens flare.Ci sono movimenti di macchina e la regia punta ad essere dinamica per movimentare il tutto e dare ritmo, quello che manca è un po' di creatività e ricercatezza.Se il personaggio di Cheon ha il suo background ed il suo obiettivo, la ragazza che vede gli spettri non è adeguatamente ben sfruttata ne troppo caratterizzata.Nello scontro finale è carino che tutto il team dei protagonisti partecipano attivamente, però anche qui troppa cgi, anche il villain, quando lo stregona mostra il volto indemoniato sulle tinte blu ha una brutta resa visiva e ciò toglie atmosfera.Le catene infuocate in cgi sono brutte a vedersi perciò il tutto non riesce ad avere la giusta portata.Con più accortezze sarebbe potuto un essere un buon film godibile ma messo così in scena perde troppo.

Settembre

E ora parleremo fino al mattino?G. Parise Robot Dreams è una conchiglia del Paleocene. Un’impronta fossile, quel libro che amavi da bambino e che ritrovi per caso durante un trasloco, dopo che avete deciso di lasciarvi perché a volte accade che l’amore finisce. Robot Dreams è la cosa giusta, non quella desiderata. L’ultimo sguardo al panorama prima di salire sul treno e andare via. Le scatole di pastelli, lo scialle della nonna, il cambio di stagione, l’odore del cappotto di tuo padre col quale non parli più e ti manca da morire, le incisioni adolescenti in platani d’amore. Robot Dreams è un sorriso nel buio, la lunga passeggiata mortale del troglodita nostro antenato che dipingeva pareti e mangiava cuori pulsanti, è lo sguardo basso e il sorriso accennato che ti invadono il volto quando nella folla di un marciapiede incroci quella persona che un tempo chiamami amico, sorella, tesoro, amore, e che ora non sai salutare – e lo sai, e lo sa anche lei, e tutto intorno la gente va non so dove. Robot Dreams è un meraviglioso libro di poesie che ha venduto diciassette copie. Robot Dreams è una cicatrice. Robot Dreams è una lunga serie di colazioni sul terrazzo, alle 8 del mattino, mentre fuori tutto è in fiore e momentaneo. Robot Dreams è quello che succede dopo che hai realizzato il tuo sogno. È la coniugazione di un verbo di cui non sei sicuro – quindi controlli il dizionario. È il gesto gentile di uno sconosciuto in metropolitana, in un mattino di pioggia e tristezza metafisica. È lo spazio bianco tra le vignette, è la caducità di Rilke, è l’altrove di Pessoa, è Garcia Lorca quando dice che il lauro si è stancato di essere poetico. Robot Dreams è la disperazione siderale, cosmica, primigenia, intergalattica, esadecimale,

Late Night with the Devil

Horror-comedy che si rifà al cinema di sette degli anni '70 con l'idea di incentrare il film durante il late show di Jack Delroy. Viene dato anche il contesto di come i conduttori televisivi si sfidavano a suon di ascolti, la "rivalità" tra Delroy e il leggendario Carson, dunque un film che parla di avidità, di come ottenere il successo a qualsiasi costo, anche oscuro, in linea con diversi film sul tema.I Cairnes, la coppia di registi, hanno già diretto horror-comedy divertenti, come Scare Campaign, sotto l'aspetto tecnico si nota il lavoro nel far apparire il film come un vero e proprio episodio del late night, il problema soggettivo è che ciò può risultare poco cinematografico perchè il tutto è volutamente e appositamente televisivo.Il film mostra il susseguirsi di ospiti del late night nella puntata di Halloween fino ad arrivare a Lilly, ragazzina, che dice di essere posseduta da un demone.La puntata del late night prosegue tra scettici, momenti di paranormale inspiegabili, trucchetti, rivelazioni e tratti di vita di esoterici che emergono in Delroy.Il momento di Lily-demone è piuttosto ironico e diverte anche per ciò che dice, quando poi nel finale il film deve mostrare l'orrore, pur comprendendo pienamente l'intento, risulta un po' generico, forse è proprio la matrice stessa da cui nasce il film a non prendermi molto, il suo essere televisivo, dunque il demone si comporta come molti altri visti nei film e l'abbondante cgi non rende troppa giustizia.Comunque ci sono momenti buoni anche in questo frangente, la gola tagliata funziona bene ed è apprezzabile come poi il film cambia frame rate, dal 4:3 al formato cinematografico per mostrare il delirio mentale di Delroy.C'è una scena suggestiva efficace, con la setta presente nel palco ed il film si può leggere anche come un revenge movie, il prezzo del

Un suono che fa ben sperare

Non poteva che essere il film di una cantautrice questo Gloria! esordio cinematografico di Margherita Vicario, figlia d'arte e affermata cantautrice italiana classe 1988. La neoregista costruisce Gloria! sui suoni. Ogni gesto produce un rumore che con la dovuta ritmica diventa musica (in alcuni passaggi questa tecnica ricorda quella di Lars Von Trier in Dancer in the dark) fino all'inserire in modo più sfacciato e diretto delle canzoni vere e proprie. Poco a poco l'opera si trasforma da film in costume a musical. Questo stile conferisce a Gloria! vitalità e ritmo, caratteristiche effettivamente spesso troppo lontane dal cinema nostrano. La regia della Vicario non rinuncia ad accompagnarci nei meandri di una cantina dove solo la musica di un pianoforte ritrovato dona speranze alle orfane protagoniste. Storicamente non ineccepibile e trama che assomiglia più ad una fiaba piuttosto che a un documentario, Gloria! paga un revisionismo femminista oggi troppo modaiolo. Sembra che dopo C'è ancora domani della Cortellesi, la carta per avvicinare il pubblico al grande schermo sia quella del femminismo, purtroppo, semplicistico. E dire che la sceneggiatura sembra ispirarsi ad un romanzo rigoroso come Stabat Mater di Tiziano Scarpa. Interessante il cast corale femminile che non si risparmia e ha la facce giuste che risultano credibili. Coraggio nei ruoli maschili con Paolo Rossi e Elio che disegnano personaggi seri. Passato in concorso all'ultimo Festival di Berlino Gloria! è un esordio che sebbene non convinca, sopratutto a causa della sceneggiatura e di un finale davvero posticcio, lascia ben sperare perché la Vicario sembra avere comunque una visione di cinema più moderna e viva della media. Vedremo.

Perfetta illusione

Tre vite che saranno modificate a partire dalle menzogne ripetute di uno che preferisce cercare una difficile carriera nella pittura rispetto a lavori subordinati. Questa è la sintesi estrema di un film che è abbastanza ben curato nella sceneggiatura e nello svolgimento della storia (non vedremo mai i dipinti di costui, e in effetti non sono questi che fanno la differenza). Più facili le due parti femminili, più difficile la parte assegnata a chi a partire da quasi subito nel film non sa fare altro che inventarsi qualcosa: se la cava benino, però. Se non che un tragico imprevisto metterà tutto in discussione, facendo emergere il tradimento in maniera ancor più eclatante: un colpo di scena che contribuisce ad un giudizio positivo sul film, che in sé (come il titolo fa pensare) è la storia di un fallimento. Nessun moralismo, la verità vera sarà un'altra. D'altra parte spesso la vita è proprio così.

Civil War

Civil War racconta dell'indifferenza delle immagini che rischiano di perdere il loro valore perciò Garland narra la guerra civile americana seguendo il team di giornalisti che devono riportare i fatti, immortalare i momenti tramite le fotografie dove l'essenza stessa del giornalismo vacilla in quanto si parla di americani che si uccidono a vicenda, perciò la giornalista-fotografa Lee Smith ha dubbi, traumi, aveva iniziato la sua carriera fotografando scene di guerra al di fuori degli States proprio perchè cioè non accadesse nella sua nazione di appartenenza, quasi come un monito, ma ora dovendo riportare la guerra civile americana non riesce più ad essere così distaccata anche perchè i morti, le atrocità sono immagini che la perseguitano anche oniricamente.Garland fa un ottimo lavoro con il fuori fuoco e nel togliere la profondità di campo in determinate situazioni. L'inizio con il presidente che tiene il discorso tramite le scelte registiche richiama una sensazione di incubo, la storia non è narrata ne prende parte alle due fazioni contrapposte ma durante lo svolgimento del film ci sono informazioni per comprendere il tutto e le scelte politiche significate che Garland compie.L'alleanza occidentale che si contrappone ai secessionisti, è composta da California e Texas, due stati contrapposti ma uniti per combattere il neo-fascismo, il presidente è al suo terzo mandato, anti-costituzionale, ha sciolto l'FBI dunque anche se il film non si sofferma sulle questioni della civil war, sulle due fazioni, da contesto.Sulle scelte registiche, tramite i fuori fuoco Garland riesce a stare sempre nei suoi personaggi, nonostante l'enormità di ciò che accade, i bellissimi campi lunghi, il regista non perde di vista i personaggi e ciò che prova Lee Smith.La giovanissima Jessie invece, che ha come idolo proprio Lee Smith, vuole seguire le orme di quest'ultima perciò si instaurano degli aspetti interessanti tra le due.Jessie all'inizio è
Rael70
DirectionScreenplayMake-upSpecial effectsActing

La presenza umana nello Spazio porta a conseguenze fisiche e psicologiche irreversibili?

Di un certo Peter Harness, sceneggiatore inglese, sentiremo parlare a lungo perché chi ha stoffa, prima o poi, riesce ad emergere e la sua creazione “Constellation” è destinata ad essere una delle migliori serie tv fantascientifiche mai concepite e prodotte. Basandosi su un cast decisamente di alto livello, dalla protagonista la svedese Noomi Rapace (una delle mie attrici preferite) a Jonathan Banks (chi ha visto la serie “Breaking Bad” dovrebbe ricordarselo), da James D'Arcy ("Cloud Atlas", “Jupiter, il destino dell'Universo”, “Dunkirk”, “L'uomo di neve” fino ad “Oppenheimer”) alla veterana Barbara Sukowa per giungere alla piccola Rosie Coleman (dodicenne all'epoca delle riprese), Herness si avvale del lavoro di tre registi per la direzione degli otto episodi: Michelle MacLaren, Oliver Hirschbiegel e Joseph Cedar, tutti esperti nel settore seriale. Lo schema narrativo è sempre lo stesso: dove termina la puntata precedente inizia quella successiva e gli episodi durano mediamente 55 minuti. La serie ha un grande merito, quello di mantenere altissimo il livello di mistero dall'inizio alla fine non annoiando mai lo spettatore.Si tratta di una storia che si svolge ai giorni nostri e che ha come protagonista principale l'astronauta svedese Johanna Ericsson (da tutti chiamata semplicemente Jo) che è uno dei membri dell'equipaggio della celebre stazione spaziale internazionale ISS in orbita permanente intorno alla Terra.L'equipaggio si occupa di svariate cose tra cui effettuare degli esperimenti in assenza di gravità e Jo, approfittando del collegamento quotidiano con la sua famiglia (il marito Magnus interpretato da D'Arcy e la figlia Alice interpretata dalla Coleman), mostra alla figlia le attività che si stanno svolgendo in quel momento tra cui una in particolare svolta dal Comandante Paul Lancaster (interpretato da William Catlet).Alice è affascinata dall'ambiente in cui, da mesi, vive la madre e sebbene sia orgogliosa di lei, desidera tanto che la mamma ritorni a
Valentina
SoundtrackDirectionCostumesMake-upSpecial effectsActing

Renfield

Robert Montague Renfield ha un problema: è coinvolto in una relazione distruttiva, talmente disfunzionale che decide di parlarne ad un gruppo di autocoscienza gremito di persone con problemi psicologici e relazionali. Nulla di strano fin qui, se non fosse per un piccolo, “trascurabile” dettaglio che Renfield ha tralasciato…la sua relazione incasinata è con il Conte Dracula, il padre di tutti i vampiri, di cui lui è fedele servitore da anni.Un Dracula un pò malconcio per via di un tentativo di eliminazione da parte di alcuni cacciatori di vampiri e che necessita di creature pure d'animo per poter riguadagnare forza e potere, che il povero succube è incaricato di trovare. Il compito di Renfield non è di facile attuazione, trovandosi, suo malgrado, coinvolto in una lotta contro una banda criminale che gli permetterà di fare conoscenza con l'integerrima poliziotta Rebecca Quincy, che della sua lotta personale contro i suddetti criminali ne ha fatto la sua ragione di vita.La nuova strana coppia formerà una disfunzionale (aridaje) alleanza, aiutandosi a vicenda nel cercare di risolvere i reciproci casini….anche se il buon Dracula ha decisamente altri piani. Non è la prima volta che il cinema ci racconta della relazione succube/Dracula. Un legame morboso, complicato e narrato secondo le atmosfere cupe e tenebrose richieste.Qui non ci troviamo spettatori di un horror tradizionale, la sua componente ironica fa di Renfield un personaggio diverso, legato si a Dracula, ma alla ricerca della sua indipendenza, che si rende conto di volere di più dalla vita che essere solo un servitore mangia insetti, che realizza tutto questo anche grazie al legame nascente con Rebecca Quincy, che gli mostra che c'è un modo diverso di vivere la vita. Un Nick Cage immensamente sensazionale, un Conte Dracula totalmente e volutamente sopra le righe, straboccante, kitsch e con un look strepitoso. Un

All You Need Is Death

Horror underground che pone situazioni interessanti in questo unisce il folk horror con la musica, nello specifico con le canzoni ancestrali irlandesi.E' un film girato con pochissimi mezzi, in diversi aspetti si nota, però la regia di Duane tramite la fotografia blu e costumi riesce a ridare, nei momenti onirici, le atmosfere del folk horror mostrando e tragici accaduti antichi di cui parla la canzone.La musica è un aspetto importante per il film, Rita, l'anziana signora irlandese è custode della canzone ricercata da Anna, Aleks e Agnes.Tale canzone parla di tradimenti, di un amore tossico tra un re ed una ragazza del popolo con annessi momenti inquietanti e tragici.Di fatto la canzone, le antiche tradizioni irlandesi servono sa scrigno per non liberare la maledizione.Duane gioca anche con il mistero, non mostrando Rita da subito che di fatto si nasconde dentro un armadio proprio per cercare di non interagire con le persone per paura che tali maledizioni possano liberarsi.Nello svolgimento ci sono alcune leggerezze di scrittura, personaggi secondati non gestiti al meglio e indubbiamente il tutto poteva avere portata maggiore, il basso budget si nota, le ombre che seguono il figlio di Rita non sono presenze così costanti e indubbiamente quando i personaggi vanno dentro i pub, biblioteche, li si nota che i set non sono così troppo strutturati.Film che comunque accenna anche al body horror, il figlio di Rita ha una vita tragica e inquietante ed i personaggi si ritroveranno a vivere ciò che narra la canzone.In alcune circostanze si spiega un po' troppo a parole senza che il film mostri ciò, la narrazione vive perciò di una base suggestiva ed interessante tra musiche ancestrale, folk e body horror dove si, il basso budget a volte si sente ma dove gli appassionati del genere potranno trovarci degli spunti e dei

Un tunnel come specchio della società

Molti ricorderanno il film del 1996 di Rob Cohen con protagonista Sylvester Stallone che tanto successo riscosse in quell'anno mentre nel 2019, il film norvegese “The Tunnel - Trappola nel buio” fu decisamente un flop. In mezzo a questi due lavori ritroviamo “Tunnel” del 2016 ad opera del regista coreano Kim Seong-hun (che scrive anche la sceneggiatura) che con questo film vincerà il Festival di Valenciennes e il BIFFF di Bruxelles dell'anno seguente. Il regista grazie a questo lavoro inizierà ad essere conosciuto per poi raggiungere il successo con la serie tv a tinte horror “Kingdom”, trasmessa da Netflix in due stagioni, che viene considerata una piccola perla. “Tunnel” ha come protagonista un attore conosciuto al pubblico europeo: Ha Jung-woo.Impossibile non ricordarsi della sua interpretazione in “The Chaser” di Na Hong-jin o in “The Terror Live” di Byung-woo Kim o nel sorprendente “Mademoiselle” del Maestro Park-Chan wook fino ad arrivare al recente e deludente “Ashfall”, insomma un attore di consumata esperienza che presta il suo volto a Lee Jung-soo, un venditore di automobili che ha appena concluso un ottimo affare (ha venduto 8 autovetture in un colpo solo) e sta per tornare a casa dalla piccola figlia e dalla moglie Seyhun.Dopo aver fatto il pieno prende la strada che lo porterà verso casa, strada che passa per il Tunnel Hodo della lunghezza di 2 Km.L'uomo non vede l'ora d'informare la moglie del successo lavorativo e assicura che sta per portare alla figlia una sorpresa: una bella torta come piace a lei.Una volta entrato nella galleria, dopo poche centinaia di metri l'illuminazione si spegne all'improvviso e Lee non capisce cosa stia accadendo…Nonostante l'energia elettrica ritorna poco dopo, Lee è alquanto impaurito ed inizia a sentire delle vibrazioni provenienti dal tetto del tunnel…Tutto sta crollando e all'improvviso Lee sviene, risvegliandosi miracolosamente incolume

Immaculate

Immaculate punta molto sulla violenza, sul sangue e sotto quest'aspetto il film mostra e non lesina, però, si nota che Mohan non è ne un gran regista ne un regista horror dalla mano sapiente.In molti frangenti si opta per dei jump scare, anche piuttosto telefonati e banali, ci sono anche momenti dove quando si deve mostrare l'orrore si causa un effetto involontariamente ironico, ad esempio con la suora con la maschera in rosso.Riguardo i jump scare anche Paco Plaza, esempio di un film recente a tema suore, li utilizza nel suo Hermana Muerte, ma i suoi jump scare sono messi in scena tramite oggetti inerenti e importanti per la narrazione del film, mentre in Immaculate sono i soliti jump scare con apparizioni alle spalle o piazzati li random.Qualche momento più suggestivo e meglio gestito c'è, il movimenti di macchina che partendo dalle spalle della protagonista Sour Cecilia si avvicina a lei andando in primo piano, momenti dove la fotografia colpisce di più però nel complesso l'ambientazione del convento non risulta troppo sfruttata per creare atmosfere.Sulla narrazione e i personaggi si poteva fare molto di più, il momento cardine del film è quando Cecilia rimane incinta, qui manca una reazione delle suore e soprattutto, Gwen, l'amica di Cecilia, ha pochissimi momenti, ha interazioni troppo fugaci con la protagonista, la loro amicizia praticamente non riesce ad essere vissuta, perciò anche quando arriva il dramma questo non risulta così forte nonostante la scena in se che punta sul mostrare la violenza.Anche la madre superiora non risulta per nulla esplorata, la sua presenza non riesce ad inquietare ne dunque a creare mistero.Mohan, forse conscio di non avere la gestione della tensione e le atmosfere esoteriche come punto forte, punta tutto su sangue e violenza.La regia non punta proprio sull'esoterico, sul mistico, non c'è il
Stefano Gasperi
DirectionScreenplayScenographySpecial effectsActing

La solitudine è lo specchio in cui guardare i nostri dèmoni

Specchi. Occhi che si specchiano gli uni negli altri, anime che attraverso gli occhi si cercano, si studiano.Il silenzio dello Spazio lontano, che cancella ogni rumore, tranne quello dei pensieri.E capita allora che si affastellino pensieri su pensieri, che ripensi a tua moglie e ti chiedi perché non ti chiama più, proprio ora che a cinquecento milioni di chilometri senti la sua mancanza in questo silenzio assordante. Ti ricordi quel giorno mentre stavi annegando e sentivi che il sole avrebbe continuato a splendere anche dopo la tua morte e allora ti assolvevi dai peccati di tuo padre che stava per salvarti la vita.Ti guardi allo specchio e, dopo 189 giorni, stai per compiere la missione spaziale più importante della storia: prelevare un campione di nube viola che si è formata nei pressi di Giove; lo specchio ti rimanda un volto stanco, scavato, assente che quasi non riconosci.Tenti di stringere nel palmo della mano l’immagine proiettata di tua moglie, incinta di una figlia che nascerà con te lontano e senti che la separazione fisica è nulla rispetto a quella che senti nei cuori, tuo e suo. Perché lei non ti vuole più, te lo ha detto in un video che i tuoi occhi non vedranno mai ma che il tuo cuore ha sentito benissimo.E allora ti senti solo, nel silenzio, nel buio.Nessuno che possa darti conforto nel momento più buio della tua vita.Hanus compare (nella tua mente? Dentro l’astronave?) allo zenit del tuo delirio e comincia a scavare nei tuoi abissi, per redimerti, per farti ottenere una catarsi e come un bambino fa una domanda semplice:“Dov’è finito l’amore?”E ti rendi conto che tutta la partita è nella risposta, la tua.Chiedi scusa a Lenka, riesci a farti sentire da lei e lei sente che ti ama ancora nonostante tutto ciò che le

Desaparecer Por Completo

Horror messicano che tramite il protagonista Santiago pone una critica sull'arrivismo sociale dato che il fotografo mette la sua voglia, quasi ossessione nel fare carriera davanti a tutto.La messa si attesta si standard buoni, il regista Henaine sfoggia un buon piano sequenza iniziale dove il fotografo arriva per scattare foto al cadavere e la regia, anche durante il film, mostra cadaveri, corpi insanguinati.Nel proseguo del film Santiago si ritroverà immischiato in maledizioni e riti esoterici, Henaine tramite il sonoro, alterandolo, silenziando, fa comprendere lo stadio del protagonista, la perdita de suoi sensi, così come l'utilizzo del fuori fuoco nel finale da sia una dimensione di incubo ma significa anche la perdita progressiva della vista e l'alterazione sensoriale che prova Santiago.Nell'arco del film ci sono alcuni clichè e momenti non troppo ben gestiti, alcune apparizioni alle spalle un po' telefonate, un cadavere che si rianima a mo' di jump scare e anche alcune velocizzazioni di montaggio durante gli incubi che se è vero che servono sempre per disorientare a dare la sensazione onirica risultano un po' di rimando con effetto datato.Nel terzo atto, quando ci si addentra di più nell'esoterico, con le atmosfere in notturna il film ne guadagna, il rituale, la capra, il sabba sono momenti suggestivi e buoni; in questi frangenti si sarebbe anche potuto dare più respiro per tali atmosfere dato che si riesce a creare un certo impatto.Si nota che Hanaine non è, ancora, un sapiente gestore dei tempi ma comunque in determinati momenti, come quelli sopracitati, riesce a creare una buona resa.Il film è incentrato totalmente su Santiago e in parte sulla compagna Marcela perciò gli altri personaggi non risultano chissà quanto esplorati, non è un problema in se per la tipologia di film, però forse maggior contesto per la villain avrebbe dato più spessore, in
Giacomo Pescatore
SoundtrackDirectionActing

Il giorno del venerdì santo

Un bel film, teso e ben diretto che tratta di malavita londinese, affari loschi e Ira. A differenza dei molti film recenti sul genere (alla Guy Ritchie, per intenderci, che pure apprezzo) questo è più rozzo e tagliente, come il suo protagonista, il grande Bob Hoskins, troppo presto scomparso.Si intravede anche un giovanissimo Pierce Brosnan, che non pronuncia battute ma ha un ruolo chiave nellla storia.