Last reviews by Film(amo) Lovers

Violenza a profusione in questo orrorifico carrozzone

Lo stavamo aspettando tutti (ok, forse non proprio tutti, ma io sì). Di certo, noi splatterofili, amanti del rosso rubino a profusione, eravamo in trepidante attesa di appurare se stessimo per andar di nuovo incontro a una nuova delusione. Nonostante i numerosi impegni, non ho potuto fare a meno di tuffarmi a pesce in questa visione. Winnie the Pooh, tutto sangue e niente miele, parte col botto, e dimostra subito di voler scherzare poco. L'apripista della pellicola non vanta una particolare originalità, diciamo che corre nell'ovvia direzione. Un bosco, una roulotte, tre scalcinate amiche intente in una seduta spiritica, e l'inevitabile fine mostruosamente orrorifica. (Degno di nota il mezzo con cui tenta di fuggire l'ultima malcapitata, talmente appariscente da provocare l'orticaria, una vera figata.)La prima cosa che salta immediatamente agli occhi, è che il budget lievitato (un milione di dollari a confronto dei centomila del primo capitolo), abbia influito sulla qualità del girato. Winnie e Pimpi hanno pure un aspetto più marcio e convincente, grazie a maschere e make-up più realistico. Anche le riprese e la fotografia acquistano più valore. La cosa che ahimè, rimane stiracchiata, è la sceneggiatura. A malincuore, quella non posso promuoverla, seppur lievemente migliorata rispetto a sangue e miele. Pur riuscendo a confezionare un prodotto superiore al precedente (e, diciamocela tutta, non ci voleva poi molto), Rhys Frake-Waterfield, con l'ausilio di Matt Leslie non riesce a proporre un narrato intrigante, rilegando Winnie The Pooh 2 a un carrozzone splatter, e null'altro.Il film non è in grado di generare un interesse sopra la media, non è accattivante, non propone un intreccio capace di creare la dovuta suspence, e in qualche punto, più di uno, onestamente, annoia. In pratica, il buon Rhys, conscio di sapere che il lungometraggio avrà un gran successo a prescindere, ci ripropone la stessa

Impalpabile

È sempre affascinante scoprire luoghi e tradizioni di popoli lontani e fino ad ora poco raccontati dal cinema. La Sy prova a raccontarci il Senegal attraverso un piccolo villaggio costantemente in lotta con il deserto che lo circonda. Produzione francese e regista comunque nata in Francia da genitori senegalesi però sembrano inficiare il risultato finale che non è sembra così originale e genuino come ci si potrebbe aspettare. La sceneggiatura purtroppo si presenta così prevedibile e cosi facilmente ambientabile in qualsiasi altra parte del mondo spiazza. Perché Banel e Adama in fin dei conti è cosi infarcito di luoghi comuni da diventare pesantemente prevedibile e addormentare l'attenzione dello spettatore. Pur concedendo che in una cultura ancora molto semplice e contadina non possano svilupparsi sceneggiature troppo complesse qui la regista sembra accontentarsi veramente di poco per riempire l'ora e mezza di film che sembra nato solamente per lanciare un messaggio femminista che in fin dei conti sa di posticcio. Come regista ci prova ad inserire qualche sequenza visionaria a cavallo tra il miraggio e il sogno: immagini liquide con i contorni indefiniti a raccontare l'indecisione e i dubbi della giovane protagonista sempre più febbrile nei comportamenti. Passato lo scorso anno in concorso a Cannes senza troppi clamori Banel e Adama è un film veloce, ma a tratti addirittura impalpabile che non riesce ad approfondire i personaggio che sembrano quasi miraggi tra la sabbia del deserto. Peccato.

Tutti amano Jeanne

Primo lungometraggio (2022) di Céline Devaux, film che ha un inizio chiaro e interessante cui segue una trama molto esile. L'impresa cui la francese Jeanne si è dedicata (uno strumento per ripulire i mari dai rifiuti) praticamente fallisce al suo debutto. Non resta che andare a Lisbona a vendere l'appartamento della madre. Caso vuole che nello stesso viaggio ci sia un suo amico di scuola, tuttora disoccupato, che a Lisbona ha una sorella e una nipote da accudire. Jeanne, certamente depressa, in questo inaspettato cambio di vita si trova a discutere con una sua voce interiore che cerca di darle consigli, rappresentata da un personaggio di cartone animato dai lunghi capelli. L'idea pare piaciuta a parte della critica professionale che ho letto, a me sinceramente le interruzioni animate del racconto sono sembrate troppe e non mi hanno divertito molto. Inoltre tutti i maschi del film, non solo l'amico francese quasi omonimo Jean ma anche l'insegnante di coro della nipote di costui e perfino il fratello di Jeanne, che abita a Lisbona, sono tutti somiglianti, sicché si deve seguire con attenzione ciò che succede per non smarrirsi. La cosa migliore del film è che non insiste sulla depressione e anzi cerca di rendere l'atmosfera leggera, forse troppo.
Rael70
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Tale padre tale figlia?

Ho sempre considerato il Thriller il genere “Master” dell'intero universo cinematografico. Pur essendo un capostipite, concretamente, non si riesce quasi mai a trovarlo nella forma più pura (eccezion fatta per Hitchcock e altri rari esempi, lo spagnolo Paulo per indicarne uno attuale) . Usando un linguaggio chimico si può affermare che Il Thriller è un "elemento" che, in maniera “genetica”, si lega facilmente per ottenere un composto: ecco che abbiamo le contaminazioni horror o quelle fantascientifiche, quelle d'azione o le psicologiche, le derive tecnologiche piuttosto che drammatiche ma, aldilà di ogni miscela, il Thriller è tutto ciò che genera tensione e il fine ultimo non è quello d'impaurire (men che mai spaventare) ma quello di lasciare lo spettatore sull'orlo di un precipizio senza sapere se cadrà o meno, senza sapere come andrà a finire l'intera vicenda. Il Thriller è tensione, è stare continuamente sul filo del rasoio, in perenne balia dell'improbabile e dell'imprevedibile: ecco, il Thriller è l'imprevedibilità che si fa Arte. Ishana Shyamalan, figlia del notissimo regista Manoj Shyamalan e sorella minore di Saleka Shyamalan (che debutterà nell'attesissimo “Trap” diretto dal padre), in passato ha scritto la serie “Servant” di cui diresse sei puntate e questo “The Watchers” costituisce il suo debutto sul grande schermo. Ishana dimostra di aver bene appreso le lezioni paterne: brava a costruire la tensione progressivamente, più che discreta nel gestire il ritmo e attenta a non vanificare tutti gli sforzi nel finale dove i colpi di scena, se non ottimamente gestiti, possono far naufragare un intero lavoro.Il cast è di buon livello: Dakota Fanning interpreta Mina, la protagonista della vicenda (chi se la ricorda nei panni della figlioletta di Tom Cruise ne “La guerra dei Mondi”'?), a seguire abbiamo la sempre brava Georgina Campbell ("Barbarian" e “Bird Box Barcelona”) nei panni di Ciara, Olwen

Avere o non avere

Dopo "Lunana", Dorji racconta un'altra favola sull'incontro/scontro fra la modernità, qui impersonificata da un trafficante d'armi, e la tradizione bhutanese, stavolta meno immacolata e già intaccata dalla globalizzazione. La critica al materialismo occidentale è graffiante e divertente (soprattutto nella concezione del commercio) e il fucile diventa il simbolo dei diversi valori delle due culture: per gli uni fonte di ricchezza materiale grazie al possesso, per gli altri fonte di ricchezza spirituale grazie alla privazione.

Un horror più convenzionale di Midsommar ma comunque moderno : un grande esordio per Ari Aster

Come ho scritto nel titolo, ho apprezzato questo film più del successivo Midsommar, per quanto forse sia un horror più “canonico” e quindi lasci solo intravedere a tratti lo stile grottesco e surreale del giovane regista, molto più evidente in Midsommar. Questo per parte del pubblico può essere un difetto, ma per me è un punto a favore del film (mentre al contrario non mi ha permesso di apprezzare appieno il peraltro eccellente Midsommar). E' un horror eccellente che non si basa solo sui soliti jump scares (comunque presenti, ma usati con una maturità notevole per un regista così giovane) ma sulla costruzione e sul mantenimento di una tensione profonda e viscerale (una caratteristica che Aster condivide con l'altro “enfant prodige” dell'horror di casa A24, Eggers) . La tematica familiare che fa da cornice e sfondo al film aggiunge spessore alla storia, che può essere vista come un dramma con notevoli tinte horror e splatter (in questo Aster è molto diverso da Eggers: quanto il secondo ha un approccio raffinato ed elegante all'horror, tanto il primo tende ad inserire scene piuttosto truculente senza preavviso, ottenendo un effetto ancora più estremo) , ma anche al contrario come un horror con una storia che appassiona tanto quanto l'aspetto pauroso, se non addirittura di più. Così come in Midsommar Ari Aster mostra un notevole talento nella rappresentazione del dolore e del lutto, presentanto in maniera straziante e viscerale. La storia, per quanto abbastanza lineare, va seguita con attenzione e non mi vergogno di confessare di aver cercato in rete qualche spiegazione su alcuni punti che non mi erano chiari, non per colpa della sceneggiatura ma semplicemente per la complessità della vicenda, che si presta a più interpretazioni, sebbene alcuni elementi restino senza una vera spiegazione e diano un po' l'idea di essere messi

L'imprevedibile viaggio di Harold Fry

Certo, non è normale che uno che non ha mai camminato più di tanto, improvvisamente si metta a farlo per 800 chilometri. Tanto meno che lo faccia senza neanche un minimo di attrezzatura per sopravvivere. La spiegazione di ciò, che ad un certo punto del film c'è, è relativamente convincente e si riferisce ad un fatto per troppo tempo rimosso. Ma la moglie, colta di sorpresa, pensa naturalmente che ci sia di mezzo ben di più. In ogni caso il nostro eroe non torna indietro e anzi, continuando nel cammino, trova inaspettati aiuti e ad un certo punto perfino la fama (con connessa gente al seguito).Storia bizzarra dunque, tratta da un romando di Rachel Joyce che per il film ha curato anche la sceneggiatura. Il prodotto finale è di un buon livello, perché, anche se la trama generale è poco credibile, lo sono invece i singoli incontri che mister Fry ha con chi lo aiuta, che ci conducono alle reazioni di diverse persone, spinte a loro volta dalle loro storie personali ad appassionarsi a questa. Che sarà anche l'occasione di un rinnovato incontro con la moglie. Una delle cose più strane, in fondo, è un'Inghilterra praticamente senza pioggia.

Chesil Beach - Il segreto di una notte

Difficile che al giorno d'oggi una ragazza non sappia cosa può succedere nella prima notte di nozze. Facile nell'Inghilterra (e non solo lì) del 1962, anno in cui la vicenda è immaginata, tratta da un romanzo di Ian McEwan, che qui è anche sceneggiatore. Pare che verso la fine romanzo e film non siano del tutto concordi, è possibile che nel romanzo sia più implicito ciò che nel film in qualche modo si è voluto sottolineare. Cioè che un forte sentimento può durare tutta la vita, qualunque cosa succeda. Ma è anche fondamentale tenere fermo il proprio sentimento e non arrendersi alle difficoltà impreviste, che possono essere di vario tipo. In questa lettura la vicenda dei due sposini che in camera da letto cercano di “consumare” il loro matrimonio, all'inizio può destare qualche perplessità, anche per i molti flash-back che sono comunque necessari per capire ciò che c'era prima. Tanta passione tra i due, ma non si sa fino a che punto basata sui comuni interessi per la musica, o altro. Tanti problemi familiari sia per lui che per lei, oltre alla grande differenza di censo. Pian piano il film porta a capire ciò che inevitabilmente succederà. Anche se proprio su questo destino ineluttabile possono esserci riflessioni, e ci sono, nel caso specifico, rimpianti. La vita non può essere diversa da come viene, momento per momento, gestita.

L'atelier

Non è un film semplice, ma anche per questo è interessante. Il regista Laurent Cantet è lo stesso de “La Classe - entre les murs" del 2008. Là l'argomento era, come da titolo, una intera classe e un'osservazione lunga quanto un anno scolastico. Qui siamo d'estate e il gruppo di giovani che si riunisce per un corso estivo di scrittura è evidentemente ridotto, tanto quanto l'estate. Non è dato conoscere l'esatta età dei partecipanti al corso, ma si intuisce che sono stati riuniti intorno ad una famosa scrittrice di thriller. Il compito, grosso modo, è scrivere un romanzo ambientato a La Ciotat, città in cui l'industria cantieristica navale, un tempo fiorente, è ormai praticamente estinta. Nel gruppo spicca un giovane introverso e solitario con evidenti tendenze razziste e violente, che è di fatto estraneo al gruppo ma proprio per la sua diversità e le sue idee attiva nella conduttrice del gruppo un doppio sentimento di attrazione e repulsione. Non volendo qui dire come va a finire, ci si limita a una considerazione: il film è un prodotto dignitoso che mette in luce le difficoltà di vivere nella nostra epoca di transizione in mezzo ad una economia che è diversa da quella del passato, così come dono diversi i problemi da affrontare. In questo, la vicenda del giovane, così diverso dal resto del gruppo, rappresenta chi è alla ricerca di un posto in un mondo che offre troppe false certezze insieme alla difficoltà di capire dove è la direzione giusta.

Capolavoro o c...ta pazzesca?

Il titoletto della recensione è ovviamente scherzoso ma spero dia l'idea del dubbio che mi ha attanagliato per tutta la durata (notevole) del film : sono al cospetto di un capolavoro del cinema o sto guardando una pellicola che fa di tutto per piacere ai critici?Non ho alcun dubbio sul fatto che Robert Eggers, anche in considerazione della sua giovane età, diventerà uno dei registi più importanti dei prossimi decenni - e sono in trepidante attesa del suo “Nosferatu” . Il film è semplicemente maestoso sotto tutti i punti di vista e le prove di Willem Dafoe e Robert Pattinson è a dir poco sublime , soprattutto nei monologhi. Un consiglio: è un film da guardare in lingua originale con i sottotitoli, altrimenti si perde molto della caratterizzazione del personaggio di Dafoe, perfettamente credibile come marinaio di fine ‘800 senza diventare una macchietta (per quanto Eggers strizza un po’ l'occhio agli spettatori quando fa descrivere il suo personaggio da Pattinson come una sorta di cialtrone che si atteggia a Capitano Achab). L'attenzione di Eggers per i dettagli storici, linguaggio compreso, è maniacale. Il film, visivamente, richiama i capolavori del passato grazie all'uso del bianco e nero, dell'inusuale formato quadrato e di lenti che riproducessero l'effetto delle pellicole del passato. La lentezza del procedere mi ha fatto pensare a Tarkovskij. Perchè i miei dubbi, allora? Perchè non sono riuscito a togliermi di dosso l'impressione che da un certo punto in poi il film si sia trasformato in un'opera teatrale (ho scoperto dopo averlo visto che Eggers ha lavorato anche in teatro e mi pare evidente in questo film) . I monologhi drammatici della prima parte si trasformano in monologhi teatrali nel finale. Lo scenario del faro diventa metaforicamente solo un fondale dipinto per fare da sfondo alla recitazione degli attori, ma
Valentina
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The Boys in the Boat

Datemi un film che parla di sogni realizzati, di persone le cui vite sembrano segnate in modo irreparabile, ma che invece riescono a dare una svolta positiva, se in più a svoltare la vita è lo sport…mi avete proprio conquistata!George Clooney è un artista che riesce ad eccellere in tutto quello che fa, la regia non fa eccezione. Un film che mi era sfuggito ma che ho veramente amato. "The Boys in the Boat" è un film avvincente e ispiratore che racconta la straordinaria storia della squadra di canottaggio dell'Università di Washington che ha vinto la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Uno straordinario film che cattura l'essenza di uno dei momenti più incredibili nello sport e nella storia americana.La trama segue le vite di nove giovani uomini provenienti da ambienti umili durante la Grande Depressione. Guidati dalla determinazione e dalla passione, formano una squadra di canottaggio che affronta incredibili avversità per raggiungere il loro sogno olimpico. La loro storia è un potente esempio di coraggio, resilienza e spirito di squadra. Il cast, capitanato da Callum Turner e Joel Edgerton, è riuscito a dare vita ai personaggi in modo autentico. I protagonisti incarnano perfettamente lo spirito e la tenacia dei loro reali corrispettivi storici, creando un legame emotivo con lo spettatore. Quando guardo un film mi immedesimo sempre, non riesco a seguire solo con occhio critico e devo dire che pochi film del cinema contemporaneo sono riusciti a farmi emozionare davvero. Una storia che colpisce al cuore, coinvolgente, complice la straordinaria fotografia, con paesaggi mozzafiato e sequenze di gara che trasmettono la brutalità e la bellezza del canottaggio e a chiudere questa armonia perfetta, c'è una trascinante colonna sonora. La storia di questi giovani uomini è un potente promemoria di come il lavoro di gruppo e la determinazione

Dove si nasconde la verità?

Joel Anderson, ultimamente produttore di “Late night with the devil”, è un regista, sceneggiatore e produttore australiano che esordisce con questo mockumentary intitolato “Lake Mungo” che è realmente un lago, da secoli prosciugato, presente nel sud-est dell'Australia. Anderson si avvale di un cast praticamente sconosciuto tranne per Rosie Traynor (June, la mamma di Alice) vista in “Dark City” di Proyas mentre Talia Zucker (Alice Palmer, la protagonista assente) è diventata una sceneggiatrice. Anderson riesce a creare un falso documentario senza però allontanarsi più di tanto da i più famosi predecessori: da “The Blair Witch Project” a “Noroi” fino a “The Poughkeepsie Tapes”. La storia narrata dal film è fin troppo semplice direi quasi pretestuosa: una giovane ragazza minorenne, Alice Palmer, scompare in circostanze decisamente misteriose pur avendo trascorso l'intera giornata insieme alla sua famiglia formata da mamma June, da papà Russell e dal fratello Mathew durante un rilassante picnic sulle sponde della diga Ararat.Il film parte a tragedia avvenuta: Alice è scomparsa quella mattina del dicembre 2005 e non si riesce a trovarla in nessun modo, pertanto l'annegamento sembra essere la causa più probabile. Ovviamente si mette in moto la classica routine mediatica: interviste a tutti i componenti della famiglia inclusi parenti e amici, ognuno con una particolare prospettiva con cui vivere la tragedia.Il fratello è l'ultima persona ad aver visto Alice viva: entrambi stavano nuotando nel lago ma, dopo un po', Mathew dice alla sorella che vuole tornare a riva perché sente freddo mentre Alice gli risponde che starà ancora qualche minuto a mollo e poi uscirà anche lei.Da quel momento nessun altro vedrà mai più Alice.Il padre conferma il racconto del figlio, ricorda di aver visto uscire Mathew dall'acqua e dopo una decina di minuti il figlio stesso chiede al padre se Alice è finalmente uscita ma Russell,

Più atmosfera che mistero

Per quanto riguarda i film di produzione cinese la distribuzione italiana si sta concentrando su noir e polizieschi cupi e spesso piovosi, come i precedenti Fuochi d'artificio in pieno giorno o Il lago delle oche. Su questo filone si ascrive Il mistero corre sul fiume, poliziesco tradizionale che parte con la classica struttura dell'omicidio di facile soluzione per avvitarsi poco per volta in una verità decisamente più complessa che finisce col logorare l'investigatore. Shujun, oltre agli intrecci della trama in cui a un certo punto abbiamo più assassini che vittime, trova la chiave narrativa in un linguaggio che si fa via via sempre più visionario. L'ossessione dell'investigatore, vessato anche dal partito, che ha bisogno di una soluzione veloce, si concretizza sullo schermo e, quella che all'inizio sembrava la solita ambientazione noir, sul finale diventa protagonista del film. Non a caso la sede della polizia locale si è appena trasferita in un cinema e le loro riunioni si tengono su quello che sembra un palco teatrale. Nulla è come appare nel film e non è solamente colpa di una parrucca. Il mistero scorre sul fiume è un'opera piacevole anche se non propriamente originale che trova la sua strada nella creazione di un immaginario visivo. Non è poco però rischia di non riuscire a coinvolgere lo spettatore che può addirittura sentirsi spiazzato. Sicuramente più adatto a chi ama un cinema dai ritmi lenti e ipnotici piuttosto che il thriller hollywoodiano.

Non è comunque fantastico?

I poeti, senza timore, ascoltano gli ululati e i ruggiti.William Blake Istanti e istantanee di vita, vignette di esistenza, racconti e sussurri da mille e una notte, anzi tutte. Notti di storie intorno al fuoco, di fuochi dentro l’oscurità dei nostri occhi, di ricordi che sono progetti e di futuri inaccessibili, perché sepolti sotto strati di fallimenti spettacolari, di tentativi di balena, di aurore improvvise: notti di storie che siamo noi. Con quella voce di donna – calda, primigenia – che narra quello che ha visto, come la più ispiratrice delle muse, che racchiude in poche parole il senso di quel tutto che, in fondo, è comunque fantastico. E lo è davvero, io la penso così, a prescindere dal sangue versato, dagli incubi più spaventosi, dalla tristezza disperata di non sapere che cosa vuoi, dalla fede che vacilla, dai fiori morti sulla tomba di tuo figlio, dalla voglia di farla finita, dal gelo di cui siamo capaci. Io la penso così. Perché poi basta un cielo stellato, l’affanno della persona che ami, che ha corso per te, solo per te; basta il sorriso di uno sconosciuto che ti trasporta nella sua felicità, una pozzanghera che non ti aspettavi, una cena improvvisata, una mattina di sole e di foglie, un libro, una mano, un mondo, una musica, un desiderio che fino a ieri non c’era e che ora è misura di tutte le cose. Basta questo, e non basta mai, per volare nel cielo più alto, sovrastando le macerie di una vita devastata da quella guerra che ci portiamo nel cuore.Frammenti di infinitezza che si incastrano nella finitudine umana, che in quanto tale riveste di significato l’infinito. Uno squarcio aperto nella tela del reale, in cui si insinua l’effimero dialogo eterno tra la parzialità che siamo e la totalità a cui

Il cacio con le pere

Film certamente leggero destinato soprattutto a chi vuole passare una serata senza pensare troppo. Commedia italiana allietata da personaggi che si muovono in gradevole ambiente toscano. L'attore Luca Calvani, di Prato, è qui alla sua prima regìa. Due fratelli con storie opposte che si sentono da sempre in competizione, senza esserlo in realtà. Attrazione per una unica fanciulla già in tenera età, adesso con fidanzato. Il fratello che se n'era andato torna, di qui nasce la trama, che deve tenere conto anche di una zia e della sua eredità. Pur nella sua tranquilla evoluzione la pellicola non fa dormire e qua e là diverte, anche per qualche sorpresa che altera la vicenda altrimenti troppo scontata.

Il mistero del castello

Film Hammer vampiresco in salsa satanica.La messa in scena che dona Don Sharp è ottima, la regia è elegante, classica e formale, gli interni sono meravigliosi con una fotografia molto impattante.Ottime le scelte cromatica, i rossi, i verdi, i viola e non a caso il film richiama molto il cinema di Mario Bava, sia per il colore ma anche per il suo utilizzo, la fotografia che vira sul surreale.L'atmosfera viene perciò data proprio dalle inquadrature, dal taglio che riesce a dare Don Sharp.Buone le sequenze del ballo in maschera esoterico, tutta la prima notte al castello dei coniugi Gerald e Marianne e suggestivo il finale, seppure chiaramente con effetti ormai datati, dell'invasione dei pipistrelli al castello.E' vero che nel terzo atto per cercare l'happy ending si forza un po' con dei clichè, molti film del periodo e della Hammer soffrono un po' di questo fattore, ma comunque rimane l'impronta di Don Sharp, la bellissima messa in scena e la voglia di incentrare un film vampiresco in chiave esoterica e da setta satanica.

Stigmate

Thriller-horror a sfondo religioso dove la regia di Rupert Wainwright riesce a donare un'atmosfera mistica, l'incipit in Brasile è intrigante e le immagini a sfondo cristiano con la statua di Maria che gronda sangue fanno il loro effetto.Padre Andrew gira il mondo per smascherare i falsi miracoli ed è in contrasto tra fede e rigore scientifico tanto che lui vorrebbe davvero poter credere, vedere dei miracoli e progressivamente sta perdendo la sua fede.La componente thriller si incentra nel complotto degli alti ranghi della chiesa nell'insabbiare, non far venire alla luce il vangelo di Cristo che minerebbe le fondamenta della stessa chiesa.Un aspetto interessante è il fatto che Frankie, atea, viene posseduta da padre Almeida e diventa la messaggera di Cristo, tale aspetto però nel film viene poco approfondito, rimane il concetto che il messaggero può essere chiunque e non per forza un fedele ma nel finale le stesse parole pronunciate da Almeida, tramite il corpo di Frankie, suggeriscono un qualcosa che il film non ha approfondito molto, in quanto viene detto a padre Andrew che ha troppi dubbi e non può essere lui il messaggero, ciò implica che Frankie in realtà aveva dentro di se una certa forza che però il film mostra.La fotografia e messa in scena gioca sull'alternare momenti freddi e cupi dove quindi i celesti, blu e le tonalità dark contornano le scene a momenti più caldi, mostrando le differenze tra gli ambiente lussuosi della chiesa romana e il freddo, la cupezza delle strade di New York e la vita di Frankie.Wainwright sa inquadrare bene i vicoli delle strade, gli stessi interni dell'appartamento di Frankie che tramite una buona fotografia riescono a dare espressività.Buoni anche i giochi cromatici tra il verde, che da la carica surreale e i rossi che richiamano ampiamente il sangue e perciò le

Semplice e divertente

Nonostante sia un appassionato di videogiochi non ho mai giocato molto alle avventure del mitico e simpaticissimo Super Mario (per un mio limite, preferisco tipologie di giochi diversi). Pur conoscendo il personaggio e qualcosa della sua storia e delle varie tipologie di giochi, non appartengo quindi alla schiera sterminata dei fan che ormai da decenni seguono le storie dell'idraulico italiano per eccellenza. C'è poi da dire che i film tratti da videogiochi sono quasi sempre destinati al fallimento (l'unico che a memoria salverei è il primo Silent Hill), perchè si tratta di media completamente diversi . I giochi di Super Mario sono particolarmente difficili da trasformare in storie, visto che di fatto si tratta di far saltare Mario da una piattaforma all'altra . Eppure faccio fatica a ricordare un film recente che mi abbia divertito così tanto. E' sicuramente un film con una storia semplice e lineare pensata soprattutto per i più piccoli (l'ho visto con mio figlio di tre anni e si è divertito moltissimo) e per i fan dei videogiochi (ci sono molti “fan services”, come le corse sui kart, i cubi magici e tanti altri momenti pensati per gli appassionati ) , ma questo non impedisce al film di essere godibile e divertente per tutti, se ovviamente non si è alla ricerca del capolavoro di animazione “impegnato” . Cosa mi è piaciutorendere verosimili le avventure di un idraulico che salta su delle piattaforme non è semplice, eppure la storia ha una sua logica e coerenza, pur nella sua semplicitàil film rispetta l'atmosfera dei giochi ed i personaggi sono perfettamente riconoscibili, senza cercare di trasformarli in mostri iper-realistici (tipo Sonic)l'animazione è eccellente (soprattutto la difficile scena sui kart, davvero spettacolare)Cosa non mi è piaciutoLa storia è davvero molto semplice, ma ho deciso di infischiarmene e divertirmi senza tante

Nei luoghi oscuri del dolore

Avete presente quando vi viene la voglia di un sano film horror, con un mostro da cui scappare (e infine uccidere) con gli occhi sgranati a fare il tifo per i buoni contro i cattivi mentre si mangiano i popcorn? … Bene, questo non è quel film. Intanto non ci sono i buoni, e nemmeno i cattivi. E a ben guardare, non ci sono nemmeno i mostri - e quelli che eventualmente ci siano vanno compresi e affrontati. E accuditi. E amati.Somnia è un'esplorazione del dolore e della difficoltà di elaborare un lutto, travestita - talvolta in modo goffo - da film horror. Quanto ci mettiamo ad accettare una perdita? A quali compromessi saremmo disposti a scendere pur di avere un (pallido) surrogato di ciò che abbiamo perso? E quanto siamo disposti ad accettare di confrontarci con il nostro dolore, e con il dolore degli altri? Non è un film perfetto, e come horror funziona meno di altre opere con ambizioni e funzionamento simili - Babadook, per esempio - ma è sincero nel porre ai suoi personaggi (e allo spettatore) domande spesso scomode e nel costringerli ad affrontare risposte spesso anche più scomode, senza per questo diventare didascalico e scadere nella predica. Merita un'occhiata, un giorno che vi sentite in vena di malinconia, e potete chiudere un occhio sulla verisimiglianza - d'altronde, qual è il film horror in cui non si deve sospendere l'incredulità un bel po'?
Giacomo Pescatore
DirectionScreenplayScenographyActing

Match Point

Quanto può essere bravo Woody Allen, sia quando adotta il registro comico sia quando, come in questo caso, applica i canoni di quello drammatico! Un film semplicemente meraviglioso, divenuto quasi istantaneamente un classico, per il modo in cui tratta temi cari ad Allen (il delitto senza castigo e, almeno talvolta, senza un reale rimorso) e la presenza del caso che governa tutti noi in assenza (almeno apparentemente) di un qualsiasi disegno superiore. Scritto, diretto e interpretato magistralmente: da vedere e rivedere.