Ero un bambino e la lettura di “Dune” fu affascinante, ma impegnativa; troppo.
Il film di Lynch, allora sconosciuto (non solo a me), fu visione cinematografica interessante, ma poco chiara e in parte deludente. Non l’ho più rivisto.
Denis Villeneuve è uno dei miei registi TOP, ho visto (e amato) ogni suo film (grazie al “Guardaroba” anche i primi esordi) e il coraggio della sfida non gli manca (BR2049 poteva fargli molto male, invece).

Film ambizioso, pure troppo. Denis se la prende comoda, usa tutto il tempo necessario e abusa di primi piani e soprattutto di movimenti rallentati. Il romanzo è denso e necessita di qualche didascalia, qualche introduzione, qualche semplificazione, e Denis con mestiere non si fa prendere dall’ansia e usa tutto per non tralasciare nulla. Arrivo a circa 2 ore di film e l’ansia viene a me…“sto vedendo un film lentissimo e manca ancora più di metà film o il tempo è volato, ma <<aiuto>> il tempo sta scadendo e manca più di metà film” …
ecco non sapevo che il romanzo era diviso in 2 film.

Scampato il pericolo di un finale super affrettato e con un po’ di delusione per il finale che rimanda ad un secondo tempo, sotto l’acquazzone dell’anno, vengo ipnotizzato dai tergicristalli del mio motoscafo; o forse è l’effetto della spezia? E’ chiaro (anche se è notte), ma sono ancora folgorato dalla maestosità della messa in scena.
“Dune” è un film visivamente ineccepibile, in tal senso anche superiore a BR2049, durante la visione, più volte vien voglia di fare fotografie da pubblicare su instagram, i tramonti di Arrakis sono da copertina. Anche i modellini delle astronavi (in equilibrio tra oggetti puri e insetti) sono magnetici e i paesaggi della Giordania “chettelodicoaffare”. C’è da perdersi, se poi alla fotografia si aggiunge anche un sonoro imponente, una soundtrack muscolare (Zimmer calca la mano), scenografie e costumi, il rischio è concreto. Per fortuna l’eccellente Timotino (un perfetto Paul Atreides snob al punto giusto) è capace di tenere alta la tensione emotiva dando un’anima ad un film che, altrimenti, rischiava di rimanere prigioniero del suo impianto tecnico. Bene anche il resto del cast ben assortito (più la bella Rebecca Ferguson che la Zandaya, confinata per ora ad un eterno spot di un profumo speziato); anche se portare Acquaman nel deserto (e senza barba) è stata una vera cattiveria.

Ecco il limite forse è proprio nella freddezza dell’impianto, tutto troppo bello, tutto troppo curato. Questo aspetto assieme all’assenza di colpi di scena alla Villeneuve (il romanzo mi pare ben rispettato) rende la visione passiva, del tipo: “eccoti il blockbuster d’autore, scegliti una sala adeguata e lasciati trasportare dalle immagini, al resto penso io” (Villeneuve)