La solitudine è lo specchio in cui guardare i nostri dèmoni

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Specchi. Occhi che si specchiano gli uni negli altri, anime che attraverso gli occhi si cercano, si studiano.

Il silenzio dello Spazio lontano, che cancella ogni rumore, tranne quello dei pensieri.

E capita allora che si affastellino pensieri su pensieri, che ripensi a tua moglie e ti chiedi perché non ti chiama più, proprio ora che a cinquecento milioni di chilometri senti la sua mancanza in questo silenzio assordante. Ti ricordi quel giorno mentre stavi annegando e sentivi che il sole avrebbe continuato a splendere anche dopo la tua morte e allora ti assolvevi dai peccati di tuo padre che stava per salvarti la vita.

Ti guardi allo specchio e, dopo 189 giorni, stai per compiere la missione spaziale più importante della storia: prelevare un campione di nube viola che si è formata nei pressi di Giove; lo specchio ti rimanda un volto stanco, scavato, assente che quasi non riconosci.

Tenti di stringere nel palmo della mano l’immagine proiettata di tua moglie, incinta di una figlia che nascerà con te lontano e senti che la separazione fisica è nulla rispetto a quella che senti nei cuori, tuo e suo. Perché lei non ti vuole più, te lo ha detto in un video che i tuoi occhi non vedranno mai ma che il tuo cuore ha sentito benissimo.

E allora ti senti solo, nel silenzio, nel buio.

Nessuno che possa darti conforto nel momento più buio della tua vita.

Hanus compare (nella tua mente? Dentro l’astronave?) allo zenit del tuo delirio e comincia a scavare nei tuoi abissi, per redimerti, per farti ottenere una catarsi e come un bambino fa una domanda semplice:

“Dov’è finito l’amore?”

E ti rendi conto che tutta la partita è nella risposta, la tua.

Chiedi scusa a Lenka, riesci a farti sentire da lei e lei sente che ti ama ancora nonostante tutto ciò che le hai fatto soffrire; siete legati e una galassia non potrà tenervi lontani, ora lo sai e tutto ciò che vuoi è tuffarti nei suoi occhi e nella sua bocca.

Scava Hanus, instancabile come un ragno che tesse la sua tela e, come insetti, i mostri che avevi sepolto nel profondo riemergono, vinti. Affrontarli e digerirli, questo bisogna fare per superare la crisi, solo questo.

All’inizio ti opponi alla tua vivisezione ma poi, docile, lasci che riemerga tutto il dolore che hai nascosto, che hai provocato. Hanus scopre quanto dolore hai provocato a Lenka e, disgustato, ti abbandona.

E ora sì che sei solo, con la nube che sta iniziando ad attraversarti, la nube che Hanus ti ha detto essere ‘il principio’.

Poi, il supremo atto d’amore: il sacrificio. Salvare Hanus, proteggerlo, andare alla deriva attraverso la nube, l’alpha e l’omega, il principio e la fine -coincidenti-, sentire di essere parte del Tutto.

“Tutto è permanente e nulla lo è” (questa mi sa che l’hai riadattata da Gautama Siddharta, vecchio Hanus…).

Poi l’addio, essere pronti per tornare ad essere polvere e Dio che dà ancora un altro giro alla grande Giostra e provare gratitudine per quello che la vita ti ha insegnato…

Anche provare a chiedere ad una ragazza di cui sei innamorato, un bacio.

Tutto questo è Spaceman: redenzione per ritrovare l’Amore.

Chi di noi non si è mai accorto di aver preso una direzione sbagliata nella vita quando sembrava ormai troppo tardi per cambiare rotta? Solo una grande sofferenza e una presa di coscienza di ciò che la nostra Anima desiderava davvero ha permesso di correggerci e di ristabilire le nostre priorità; il coraggio poi (cor-agere, l’agire del cuore) ci ha permesso di correggere la nostra vita, finalmente.

Sandler è un uomo sgualcito, consumato dalla stanchezza, dalla paura, dai rimpianti e dai peccati (non suoi); ogni sua ruga sprigiona sofferenza, ogni sua routine spaziale lo strema ogni istante di più.

Poi l’Essere più improbabile dell’Universo ascolta la sua muta sofferenza. E lo salva.

Hanus fa uscire dalla tuta spaziale l’Uomo e lo aiuta a tornare a casa.

Finalmente.