CONTRO CAMPO DI CONCENTRAMENTO

La sensazione più ricorrente che ho provato durante la visione di questo capolavoro è stata quelli di un profondo, profondissimo fastidio che mi sono portato a casa e che continua a stare con me. Obiettivo di Glazer è proprio questo: infondere, radicare in noi una insopportabile sensazione di fastidio…” perché è successo tutto questo? perché sta succedendo ancora?” Quella stessa sensazione di fastidio che si prova guardando la celeberrima scena della spiaggia in UNDER THE SKIN (che ad oggi per me rimane insuperata per livelli di tensione, angoscia e pathos) e anche lì ci chiediamo perché? perché non fa niente? domanda che automaticamente ci viene da ribaltare su tutti noi…perché non facciamo niente?  E Glazer vuole che questo fastidio ce lo portiamo a casa…la musica straniante di Mica Levi (immensa anche in UTS) con cui inizia film ritorna dopo l’ultima immagine, come monito incessante… 

La poetica di Glazer si basa sui contrasti, sugli opposti, che stimolano, attivano la reazione dello spettatore che è portato a farsi mille domande sulla natura umana, sulla solidarietà, sulla mancanza di solidarietà, sull’amore, sull’odio, sulla solitudine (Höss in fondo è un uomo solo, solissimo), sulla morte…Contrasti ce n’erano tantissimi in UTS e ce ne sono ancora di più in TZOI, come:

  • la doccia della piscina che perde acqua (simbolo di vita) che richiama le “docce” delle camere a gas;
  • stesso discorso per le api che favoriscono la vita riprese sui fiori coltivati con la cenere dei prigionieri morti;
  • e per la cenere nell’acqua del fiume;
  • e per i girasoli e i crisantemi;
  • la vite che copre il muro…nel Vangelo la chiesa d'Israele è paragonata alla vigna nella quale Gesù rappresenta la vite;
  • la camera termica che nel freddo della notte riprende l’animo caldo della ragazza polacca;
  • subito dopo sempre Alexandra suona al pianoforte le note che ha trovato su un pezzo di carta nel lager, la madre è sulla terrazza a ritirare i panni dei prigionieri morti...in sovrimpressione compare il testo, purtroppo ancora attualissimo, del brano che inneggia, malgrado tutto, alla vita;
  • l’allegra marcetta “Rosamunda” che si sente al di là del muro e che veniva usata per accompagnare i prigionieri verso la morte;
  • Höss grande macho oppressore e sterminatore che non può fare a meno dei piaceri del sesso che gli procura una sua schiava e che non dorme nello stesso letto con la moglie;
  • la precisione millimetrica con cui la giovane domestica posa il bicchiere sul vassoio perché sa che un minimo errore può costarle la vita, scena che stride con il gruppo di amiche tedesche (per la prima e forse unica volta quasi fuori campo, con un ribaltamento straniante rispetto all’impostazione del resto del film) che deridono gli ebrei morti;
  • il riferimento al Canada (paese che da poco aveva ottenuto l’indipendenza/libertà) per beffeggiare i morti ai quali hanno sottratto i vestiti;
  • nella stalla dei cavalli (la cui struttura è molto simile all’interno dei dormitori dei lager) c’è scritto: “la felicità della terra si trova sulla schiena dei cavalli” (che richiama il galoppo in libertà);
  • Höss vestito di bianco;
  • Hedwig che cammina furiosa perché vuole rimanere in quel “paradiso” mentre sullo sfondo si vede il muro e il filo spinato del lager che costringe gli ebrei a restare in quell’inferno;
  • la pulizia nel museo e la pulizia etnica.

Nelle opere di Glazer è poi fondamentale l’utilizzo del nero, dell’oscurità, evidente fin dai suoi videoclip, come quello meraviglioso fatto per Karma Police dei Radiohead, che trova la sua sublimazione in UTS: il liquame nero dove sprofondano gli uomini prede dell’aliena (metafora potentissima dell’abisso verso cui si sta dirigendo l’umanità). E in TZOI il buio è ancora foriero di contrasti: l’unica luce (=vita) che si vede è quella della fiamma del forno crematorio (=morte). Il buio è anche dentro, nei lunghi corridoi della mente di Höss, costretto a correre a lavorare come un forsennato, a spegnere tutte le luci della casa e chiudere tutte le porte, per non pensare a quello che accade al di là di quel muro. Ma un barlume c’è sempre in fondo a quel buio…in UTS era rappresentato dall’animo puro del ragazzo deforme e in TZOI dalla ragazzina polacca (veramente esistita e morta poco dopo la conclusione delle riprese)…Glazer ha grossa fiducia nei giovani…la speranza (che condivido) è che i giovani salveranno il mondo, nonostante i manganelli… 

Una volta a casa non ho potuto fare a meno di pensare alle parole del libro di Salmen Gradowski “Sonderkommando”, fonte di ispirazione del magnifico IL FIGLIO DI SAUL di László Nemes: "e la Luna, ve ne sono due, sicuramente. Una Luna per le nazioni, amorosa e tenera, che sorride dolcemente al mondo e ascolta il suo canto di gioia e felicità. E una luna per il nostro popolo. Una luna crudele, brutale, che assiste a tutto, indifferente e gelida, e sente i lamenti e le grida dei cuori, dei milioni, che lottano con la morte che li afferra". THE ZONE OF INTEREST parla di questa seconda luna...e con il suo film Jonathan Glazer ci sprona a far sì che di Luna ne rimanga una sola...quella più bella e amorosa...che possa risplendere su un mondo senza muri, strisce e musei alla memoria. Il capolavoro del regista inglese è un film-specchio ...che ci costringe inesorabilmente a riflettere seduti nella nostra zona di interesse...che ci fa ricordare le parole di Primo Levi "i mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere davvero pericolosi. Sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e obbedire senza discutere…" e quelle, terribilmente attuali, di Elie Wiesel "ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità favorisce l'oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato".