Recensione di   Roberto Flauto Roberto Flauto

The good night

(Film, 2007)

Dormire, forse sognare

 

 

Quell’immagine di me che tento di creare nella mia mente per potermi amare

è ben diversa da quella che tento di creare nella mente degli altri perché mi possano amare.

(W.H. Auden)

 

Tutti i nostri rancori derivano dal fatto che, 

rimasti al di sotto di noi stessi, 

non siamo stati in grado di raggiungere la nostra meta. 

Questo non lo perdoneremo mai agli altri.

(E. Cioran)

 

Morire, dormire…
nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.

(W. Shakespeare)

 

 

 

 

 

C’è una cosa che ogni persona desidera più di qualunque altra.

Ognuno di noi, a prescindere da qualsiasi caratteristica, da qualsiasi variabile.

Ogni persona desidera ardentemente, segretamente, immensamente, una sola cosa.
No, non è l’amore. 

Non è la felicità, nemmeno la salute. 

E non sono nemmeno i soldi, o il potere, o il benessere.
Non si tratta neanche del sesso, della libertà, della famiglia, del possesso, del proprio tornaconto.
Quello che ognuno di noi desidera sopra ogni cosa è un alibi.
Proprio così. Ciò che desideriamo più di tutto è semplicemente una scusa, una giustificazione.
Così poi possiamo dire a noi stessi, agli altri e al mondo, con tutto il nostro colpevole candore: 

“non è colpa mia”.

È esattamente questo che desideriamo, niente di più, niente di meno, perché non c’è niente di meglio. Niente di più rassicurante, niente di più comodo.

Un alibi, una scusa, un motivo qualunque che ci permetta di dire:

non è colpa mia se non ce l’ho fatta a diventare musicista, poeta, astronauta, calciatore, architetto, professore di epistemologia romanza, scrittore di successo, imprenditore di grido.

Non è colpa mia se la storia d’amore in cui ho riversato ogni fibra del mio essere è finita, non è colpa mia se non riesco a essere felice, se tutto va male.

Vedete? Questi fallimenti non sono colpa mia.

E quel progetto che si è arenato? Non è colpa mia.

Quel sogno in cui credevo? Sì, è franato, si è frantumato in mille pezzi. Ma non è colpa mia.

Il fatto è che ci sono problemi più grandi. Il lavoro, per esempio. Non ho tempo per sognare. Non ho tempo. Ho mal di testa. Sono sotto pressione. Sono stanco. Sono morto.

Qualsiasi cosa, pur di non ammettere che siamo qui.

Qualunque cosa, pur di non ammettere che quando guardiamo il cielo stellato in realtà ci stiamo specchiando.

Molto meglio rifugiarsi nella retorica rassicurante della scusa.

Anche perché spesso è pure fondata, gli alibi hanno un alibi: hanno un fondo di verità.

Ma è parziale, piccola, transitoria, risolvibile, discreta, effimera.

Ma abbiamo paura dell’amore, della felicità, del cielo stellato. 
Preferiamo avere un alibi, è il nostro desiderio più grande.

Essere felici non dà scuse, quindi preferiamo evitare la felicità. 
“Non è colpa mia”.
Quattro, dolcissime parole che custodiamo gelosamente nelle profondità più nascoste del nostro cuore.
Allora preferiamo evitare di affrontare i problemi, e da codardi ci rintaniamo nei sogni.
Ma il fatto è che spesso i nostri sogni sono i sogni di qualcun altro.
E quel qualcun altro è quell’io che non sapremo mai diventare.
Siamo tutti esattamente, maledettamente, come Gary.
Il mondo ci fa paura e noi ci richiudiamo in casa, la insonorizziamo, la facciamo diventare un’isola, e noi con lei, un’isola dentro l’isola, per la disperazione di John Donne e di tutti i poeti.
Un alibi, non chiediamo niente di più alla vita.
Niente amore, niente felicità, niente bellezza.
Un alibi, per non ammettere di essere qui.

Per non confessare di essere veri.
Niente gioia, niente cieli stellati, niente desideri che si realizzano.
Tutto quello che vogliamo è una scusa.
Tutto quello che vogliamo è dormire, forse sognare.
Anzi, no. Un sonno senza sogni, un mare nero di pace immobile.

Non è colpa mia. Non è colpa mia. Non è colpa mia.

La felicità mette a nudo. L’amore ti spoglia. La gioia disarma.

Noi questo non lo vogliamo, vero?

Non possiamo permettercelo, perché altrimenti come facciamo a giustificare la nostra indolenza, il nostro rassegnarci all’ineluttabile quotidiano al quale ci siamo condannati da soli?

No, no, no, non è colpa mia.

È colpa di tutto e di tutti, ma non è colpa mia.

E poi ci arpioniamo il cuore con i “se”.

E poi ci dilaniamo le tempie con i “ma”.

Perché dobbiamo rendere più credibile la nostra narrazione.

E va pure bene, lo capisco, dobbiamo pur alleggerire il peso dell’esistenza, allentare la tensione dell’essere vivi. Fa parte del gioco. Va bene. Dobbiamo ingannare la morte.

E continuiamo a evitare la felicità, perché non lascia scampo. Evitiamo la bellezza, poiché rivela. Scansiamo la serenità, in quanto manifesta.

Ma noi preferiamo restare nella trincea, barricati nel solco dell’esistenza, senza viverla davvero. Siamo involucri. Crisalidi vuote. Bruchi arresi. Farfalle che non ce l’hanno fatta.

E continuiamo a nasconderci fino alla fine e ancora e ancora.
Oppure no? Forse non è così, non fino a questo punto.

Sto esagerando. Ma non è colpa mia. Ho paura, come tutti.

Forse non è così, non così profondamente, così irrimediabilmente.
Perché poi alla fine Gary compone la sua musica, si mette in gioco, non è più un’isola.
Ma lo fa quando è troppo tardi. Quando capisce che il mondo è in frantumi e alla deriva.
Ma è davvero troppo tardi? Siamo davvero così smarriti, perduti, impauriti, spaventati, da tutto e tutti, soprattutto dall’amore e dalla felicità?
Sì, ma è bellissimo così.
Dormire, forse sognare. 

Anzi senza “forse”.
Sognare e basta. E amare. E provare a essere felici, per una volta, senza scuse, lanciarsi nel blu e lilla del cielo dei nostri occhi, senza corde, naufragare nell’oceano del nostro cuore in burrasca.

E morire di vita. 
Come Gary.
Come chi si nasconde per tutta l’esistenza e poi, finalmente, dopo averci provato per una vita intera, nascere.
E allora senza gambe cammineremo e andremo nell’unica direzione possibile: verso la persona che amiamo.
Ed è quello che voglio fare.

E riuscire a dire, almeno per una volta, con una convinzione che non so se mi appartiene, sanguinando e piangendo, colmo di paura, speranza, amore, mostri, dubbi e stelle:

“è colpa mia”.

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Perché, forse, non è importante realizzare i sogni.
Ma rendere sognante la realtà.

E basta fare casino, che qui c’è gente che sogna.

Buonanotte.

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[Buio. I love you. I love you too.]

[Nell’oscurità del sogno, la luminosa realtà si rivela].