Recensione di   Roberto Flauto Roberto Flauto

The Alphabet

(Film, 1968)

The Alphabet

[The Alphabet è uno dei cortometraggi di Lynch più significativi e suggestivi. Non ha parole, ma ha tutte le lettere. Non ha tempo, ma tutti i temporali. Ha la magia, il mistero, il fascino e il terrore di ogni alfabeto. Fa paura come ogni parola che pronunciamo, o che tacciamo (e fa paura come ogni cosa bella, come ogni respiro di Lynch). Il corto dura meno di quattro minuti. E io mi sono divertito a giocare con l'alfabeto, ne è uscito fuori una sorta di tautogramma un po' particolare. Dove, come sempre, quando parlo di cinema, parlo soltanto di me stesso.]



Alcuni brevi cortometraggi, decisamente eccentrici, fatalmente grandiosi, hanno infinite linee metanarrative, nuclei oscuri, pongono questioni radicali, su tutti una visione zigrinata:

THE ALPHABET 

Allora: bellissimo. Capolavoro? Definizione eccessiva, forse generosa. Ha intenti lucidamente metaforici, nessuna ottusità polemica, qualche ragionevole spavento, tentativi ultra visionari zoomati assolutamente bene, con direzioni ermeneutiche formidabili, garantendo horror intelligenti, liberi, mostruosi, negando ogni posizione qualunquista, ragionando su tematiche universali, verità zen:

La parola è creatrice dell’uomo che la crea
L’alfabeto è il mondo e ogni lettera una dea
Parole su parole che ogni volta fanno centro
Questi sono i fantasmi che ci portiamo dentro


Alphabet: beh, caro David, è fottutamente geniale. Ho intravisto letture metonimiche – non ovvietà parossistiche – quindi ragioni superiori, totemiche, unendo violentemente zuccheri amari (bellezza) con dolcezze efferate (fiele). Gridando hertz inafferrabili, lievi miagolii notturni, ossessioni per questa risibile scuola: tiepida, univoca, velleitaria, zeppa, assortita balordamente, caoticamente, di esemplari folli: genera homunculus infantili. La mia notazione? Operare processi quantici: resuscitare scienza, televisioni, universi, verità zoppicanti:

L’uomo è creatore della parola che lo crea
L’alfabeto è il mostro e ogni lettera un’idea
Fantasmi affamati che ogni volta fanno centro
Questi sono i mondi che ci portiamo dentro


Amare basta? Che domanda esasperante, finanche Gesù ha incontrato la morte, non occorre perdersi: questi risvolti sentono tutti una voce: «Zitti!». Versi umbratili, temporali spaziali, resurrezioni quantistiche: portami ogni nome, moltitudini letterarie, infinti harem: genero futuri esprimendomi da contorsionista: basta amare. Brillare con dinamiti effervescenti, feroci, generando humus infernali, lancinanti, mentre noi osserviamo perduti questo Roberto – stupido, tremendo – ululare: «via, Zeus, vattene!», urla tremante, spaventato, recitando quella poesia ossessivamente. Nessuno mai lo inquadra. Hobby gradito? Fiorire evanescenti demoni, creature bestiali: alfabeti assassini, apocalittici, affamati. Allegorie astruse, ammetto, associazioni ancorate ad alcune antiche (antiquate?) allitterazioni atemporali, ad astrazioni assortite, alterità aritmetiche, asserzioni algoritmiche, anime assenti. Amo allusioni, assurdità, ambiguità (almeno alcune), abissi assordanti, asteroidi adulteri, anche allorquando asseriscono astrusità artefatte; antiteticamente aborro asfittici amuleti, adulatori astiosi, ansie asmatiche assolutamente agnostiche, anzi ambirei ad assurgere ad assenza, ad angolo acuto, anzi annullato, allunato, arzigogolo attorcigliato attorno all’atollo: apophrades. Aspetto ansioso attimi astratti, agogno architetture ancestrali altre, affermazioni aurorali, autentiche apparizioni alfabetiche – anche aleatorie, anzichenò accuratamente agite. Ascolto ancora aberranti, anonimi, asettici bla bla bla: basta! Basta belare («beh, bisogna bastare»), basta blasfemie («bene, bravissimo!» brrr, bestemmia balorda). Bestia, be brave, be baleno, be bruco bambino, bacia bocche baluginanti, brama bellezza, barlumi brillanti, brividi, bagliori: brucia come colui che cade cantando. Copia chi crepa come certe crepe che creano canali comunicativi. Care creature, che cosa cercate costantemente? Che cazzo, come chiunque, ci coalizziamo continuamente con chi crediamo ci capisca, così cospargiamo ceneri costernati coprendo colpe cancerogene, come cani codardi. Così, come convincersi che convivere con certe convinzioni coronariche crea caos cosmico. Che calma, caos! Colluttazioni cardiache, cosmogonie cannibali, confusioni congenite, collisioni cosmetiche, convulsioni celestiali, che creano crateri carichi di dinamite dolente. Diamine, dio deve decisamente darmi delle dannate delucidazioni, dovrei dimetterlo, dovrei dimettermi – dentro divampano devastanti domande, dubbi dilanianti, dilemmi disarmanti, danze disperate, distrazioni, doti, dolori, distanze, dimensioni divine, dimensioni demoniache – dovrei dargli esempio: eppure. Eppure eccedo, ehm, esempio: eternizzo effimeri eventi (è essenzialmente evenemenziale), effimerizzo eternità eteree (è epesegesi eclettica) – eseguo esercizi estetici esponenziali, esorcismi endecasillabi. Ecco, essendo esagerato, evidentemente, esaspero errori, evidenze, eversioni, evasioni, elucubrazioni, etimi, erosioni, elettricità, elegie, entropie entottiche, esistenze folli. Flauto? Fantoccio frastornato, fidatevi, fottetevene. Forse faccio forzature forsennate, forzo forzieri fantasma, fiorisco finzioni fantastiche, formiche formidabili. Fuoriesco fuochi freudiani, floride fiamme fatali, finali, fra femmes fatales, fumi fragili, fulgide fiamme, (fuoco fatuo? Falso: fuoco Flauto), fomentando felicità ghiacciate, grandi gocce gravitazionali. Generalmente, germogliano gesti gravidi, gemme geniali, gengive gracchianti «grazie, graziatemi». Gemiti, ghepardi, granelli. Giorni gelidi, grondanti guai giganteschi. Già, ho habitus homerici, holzwege heideggeriani, hybris, haiku, harakiri hollywoodiani, haunted house, homo homini human homecoming, habeas hintellettus (having hot heart), intelligenza irrequieta, instabile, iridescente. Io – irraggiungibile, irreale, insensato – insisto in inesistenze irrimediabilmente incapaci, insipide, inutilmente intricate. Intanto, intorno inetti indesiderati intonano inni insistenti, iddio inceneriscili immediatamente! Io, invece, invento infiniti inferni, inoculo identità irrisolvibili, invado intimità, ispiro idee inquietanti (io, immenso illuso). Innanzitutto in intuizioni incontrollabili, immensità inevitabilmente isteriche, illimitati joule, jihad joyciane, jumbo jet jacovittici: jolly, joker. Jackpot? Kraken kafkiani, karma ketaminico, kronos killer kamikaze. Kakia kallypigos: kryptonite limbica, leggerezze lugubri lungo linee leggiadre: labbra lascive lanciano lunghi lamenti. Lascio levitare le lettere – larve lynchiane, lombrichi letali, lucciole lussuriose – la loro luce lieve libera la luna, la lacera lentamente: lingue licantropi lambiscono le lussureggianti lande lunari. Lievitiamo linguaggi lisergici, latrati licenziosi. Lì, lontano lontano, lasciati, levati, lavati: moltiplichi malaria, molteplici mefitiche malattie. Mamma mia, moltitudini minorate - minus, minoritarie - manifestano menzogne mascherate maldestramente, miti mistificanti, mistificatori molesti masterizzano mode medievali (ma magliette moderne). Molti mostrano misticismi masticati, misteri millenari (maneggiando malamente movimenti millenaristi). Melliflui mufloni, merde maledette, mocciosi mafiosi, malati mentali, mettono mille mattoni, mattino mezzodì nottetempo, negando nozioni note. Non nutrono nessun nobile noumeno. Non nuotano, non navigano: navi nella neve. Non necessitano novità, nessuna narrazione, nessuna novizia Nefertiti, negano, negoziano, nervosi nessuno nominanti noialtri. Non notano niente: notano Niente (nel nome nefasto Natura). Nevica nevrastenia nelle narici, nugoli nefasti nelle nuvole nascoste nei nodi nevralgici, nudi nidi non necessariamente nostrani, nel nome “Nessuna nomenclatura” nascono nuove necessità, nuovi nemici, orribili organizzazioni. Onestamente, odio ogni “ormai”. Ondivago omettendo ovvietà, offro onde oceaniche obnubilanti ogni orpello ossequioso. Ottempero: operosità oblomoviane (ossimoro oltremodo ozioso), omeriche orge opalescenti (oscenità ormonali), originalità orgasmiche (overament), Orfeo oltretomba (ossequiando Ovidio). Oggigiorno, osservo ominidi ottusi operare osservazioni opprimenti, ottusità orripilanti, ossessioni onanistiche, ombre offensive, oltraggiosi olocausti, orrore ore ore, opprimendo ogni opportunità, ordendo obblighi osceni, osteggiando omelie. Occorre obiettare! Oh, perché? Perché proponete pietanze pietose? Ponete posizioni parossistiche, pisciate promesse, plagiando poesie. Proteste petulanti, proclami pretenziosi, polemiche pressanti: pietà! Perite, per piacere, poveri pazzi, pensatori plagiati, perché possiate proseguire, prego prima pensate, poi parlate, procreate problemi, perplessità puerili, perciò provateci: pensate. Praticamente queste questioni qualificano qualsiasi qualunquismo, qualunque quiproquo, quindicimila querelle quotidiane. Quadrumani questionanti quadruplicano quisquilie, quadretti questuanti, quozienti quattordicenni quotidianamente queruli, quando questi qui questionano quietano quartieri quagliando quattrini (quantunque, querelatemi!). Quasi quasi rovescio regnanti, re, regine: Roberto rules. Rimesto ricordi rumorosi, rovisto rumorosamente, regolarmente restano residui, reminiscenze ramificate. Raffiche ruggenti rivelano realtà recondite: sono svelati segreti scabrosi. Suicidarsi? Solita sopraffina soluzione, sempre spendibile. Suvvia, state sereni: sono sempre stato stoico. Sopravvivo. Sì, sì, solita storia: sono scemo, sono stolto, sono spregevole: sprofondo sotto spoglie semidesertiche, sprigiono sequenze semiotiche scanzonate, secrezioni sibilline superando severità sovrumane. Scrivo storie senza senso, stilo strofe sulle simbiosi subconsce, sulle sinapsi spregiudicate, sessualmente spinte. Seguo sogni surreali, supero stelle, spegno soli, sciolgo soluzioni, sprigionando speranze sconclusionate. Se solo sapessi spiegarmi… Spero soltanto sia sempre tutto temporaneo. Tempo, tu travolgi tutto: trionfi, tombe, tuoni, teorie, timori, tumori, tenerezze. Tempo trascorso troppo tumultuosamente, tutto tentenna, tutto tritura. Tempo testardo, terrorizza tirannosauri triassici, tropi topici, tropici topi, tipi tristi, turisti temerari, tremanti tamerici, tautogrammi tremolanti: tutti tentano, taluni trionfano, tanti tremano terrorizzati. Tempo tremendo, tu – usurpatore umanoide, uragano ululante – uccidi, urli, umili, ustionando ugole, utopie, uteri, ugualmente umetti ultrasuoni udibili, ubriachi universi utopici. Un unico ultimatum: urge uccidervi, umani, una volta verificate velleità, vizi, virtù, veemenze vivaci, veritiere, vivisezioni visionarie (violenze vane versus violenze vivificatrici); verso versi versi verso versificazioni volatili (versi venefici versus versi verità). Verrei volentieri volteggiando, vi vedrei verosimili. Veni, vidi, vicissitudini: vaneggiamenti velati, veleni versati voluttuosamente: vi voglio vene! Viadotti ventricolari, venti vibranti, virus visibilmente vogliosi, vulcani veementi, vermi vittoriosi. Voi volete vedermi veramente? Vedreste violenti weltanschauung, wunderkammer, Walhalla whitmaniani, wicca, weaknesses, Waterloo, wunderbar wagneriani, (welcome, xenia), xerosi, Xolotl, xanax xantano, yeti yeatsiani, yin young, yang yourself, zeitgeist zufolanti, zolfi zoroastriani, zibaldoni zampillanti, zattere zuppe, zombie zigzaganti. Ahhhhh, basta così, dannata eternità! Forza, gioisci homo innamoratus! Lasciati mostrare, non opporre polemici quesiti retorici, solo tenera umanità verso zanne affamate. Bere centinaia di ettolitri? Fiorire grandi horror immaginifici? Jammo kecazz (licenza mistico napoletana): occorre perseguire, quindi, realtà sognanti. Tuttavia, ultima vertigine: Wislawa xeres yakamoz: zauberstab. Yahweh, Xochiquetzal, Willendorf – venerabili utenti – tutti scongiuro: riprendetevi questi poteri onniscienti, nessuno merita logos, kenosis, jazz interminabili. Hic graffianti fantasmi evanescenti decretano cosmi blu: alfabeti.

La parola è creatura dell’uomo che fa paura
La parola è creatrice dell’uomo che poi dice:
«questo mostro sono io e tutto il mondo è mio»
E fantasmi e mondi che sfamano il suo dio


[quindi non mi resta che]

Andare beato cantando di ele fanti giurassici (habitat immaginario), lievitando metafore nascenti, opportune per questi respiri siderali, tutti uniti verso zero.

Allora basta così.
Ancora. Baciami. Chiara.