Un graffio nel cielo

 

 

Cadono le stelle

Allora è vero

E io non so se ci sarò

Dove andrò

Non lo so se lo merito o no

Se correggerò gli effetti dei miei guasti nucleari

Se troverò il coraggio ti telefono domani

E più sarò lontano e più sarò da te

Dimenticato e muto

Come uno che non c'è

Tornerò, tornerò davvero

A sentire su di me il profumo delle mani

Di notte io farò sogni tridimensionali

Senza chiedere mai niente al mondo

Neanche a te

Senza chiedermi perché

Ti vedo dappertutto

Anche in me

Ti vedo

(Samuele Bersani, Replay)

 

 

 

 

Ogni volta che mi sveglio, mi ritrovo più lontano da te. Sono solo come nessun uomo è mai stato. L’universo mi accoglie nelle sue profondità. Io cerco in tutti i modi di non esistere. E per evitare di vivere, me ne sono andato tra le stelle. Sento il cosmo vibrare nelle mie tempie. Io non sono altro che un minuscolo granello perduto nell’universo, ma non c’è niente nell’universo che non sia dentro di me. Sono dove nessun uomo è mai stato. Sono nell’oscurità del cosmo, che è in realtà uno squarcio di luce. Lo stesso che colora di viola e di incertezza il cielo della Terra, dove ti ho lasciata, dove ho lasciato tutti, dove mi sentivo in gabbia. Perché la vita. Perché tu. Perché gli altri, perché niente e nessuno. Perché sono un sognatore instancabile e sono affetto da malinconia e caducità. C’è un saggio di Freud che si intitola così. Parla di un poeta che viveva gli altrove. Ora lo capisco. Dalla mia navicella vedo la luminosa oscurità dello spazio profondo, profondissimo, nero, nerissimo, luce, lucertola, che passeggia sulle pareti del tempio che ho edificato a tuo nome. Sul cui altare sacrifico futuri, attimi, possibilità. Perché non posso permetterti di amarmi così tempestosamente. Allora eccomi qui, dove nessun uomo è mai stato, nelle profondità del cosmo. Sono in quella striscia colorata che vedi nel cielo. E sai cosa ho scoperto? Mi manchi così tanto. Eppure sono qui. Ho scelto di essere qui, ho voluto essere qui, andrò fino in fondo. Voglio dare un nome al futuro del figlio che porti in grembo. Il nostro bambino. Sì, il nostro universo è dentro di te. E io non ci sono. Sono l’uomo delle stelle. Sono l’uomo dell’universo. Non sono niente. Sono un eroe. Non valgo niente. Sono un condannato a morte per dissoluzione dell’anima. Provo a guardarmi dentro e vedo la stessa infinità che osservo quando guardo fuori dalla mia navicella. Presto arriverò a lambire la singolarità, poi ci entrerò dentro, la studierò, salverò il mondo, lo stesso dove ti ho lasciata, sola e incinta, sole che incita a piovere luce, ma io sono notte che inghiotte, notte che forte sbatte le porte e allora sono qui. Il fatto è che non sono solo neanche qui. Ci sei tu, cioè ci sono io, intendo dire che c’è un ragno mostruoso che abbraccia il rumore perché ha bisogno di domare l’angoscia del tempo che passa e non passa mai. No, non sono niente. Sono un graffio nel cielo. Il ragno mostruoso ha la voce del cosmo che si espande. Io anche sono mostruoso. Ho paura di te, ho paura di essere vero, allora sono qui, un qui che è soprattutto altrove, un altrove che è soprattutto buio e nero e forse sto semplicemente e definitivamente impazzendo. Mesi di solitudine e buio e assenza di baci e gravità. Il ragno mi osserva con i suoi numerosi occhi. Io lo osservo con i miei numerosi dubbi. Sono immerso nella notte del cosmo, in una navicella che ha perso i contatti con la Terra, e mi ritrovo con un ragno gigantesco e mostruoso e io e sempre io. Ripenso alla mia vita. Mi ricordo di mio padre, della mia infanzia. Mi ricordo una passeggiata. Mi ricordo la prima volta che ti ho presa per mano, e di quando abbiamo riso fino alle lacrime senza alcun motivo. Mi ricordo che c’era qualcosa di eterno in quegli istanti di infinità. Ricordo i tuoi occhi interstellari, comete come te che indicano la strada verso casa, la stessa che ho lasciato per venire qui. Sono l’uomo delle stelle. Sono l’uomo più solo di sempre. Sono uno scienziato incredibile, ho battuto da solo la navicella dei coreani, che arriverà seconda dopo di me, ma io sono solo uno che ha paura e niente più. Anche le comunicazioni si sono interrotte, non so perché non mi rispondi più. Forse hai capito il vero motivo per cui ho scelto di lasciarmi prendere dalle stelle. Non posso permettermi di essere amato così tempestosamente. Allora attraverso l’atmosfera. Allora supero i pianeti. Allora corteggio l’infinito. Ma non quello dei tuoi occhi, che mi attraversano e sono sempre in tempesta. Mi chiudo a chiave nel mio cuore e poi lo do alle fiamme. Brucio nei numerosi occhi del ragno che mi chiede di parlargli di me, della mia vita. Hai capito cosa vuole, questo mostro sanguinario? Vuole conoscermi. Vuole sapere chi sono. Chi sono io quando sto con te. Ho paura del buio e della luce. Lui viene da un pianeta lontanissimo e la sua specie è morta. Credo sia antico quanto l’universo. Anche lui è diretto alla singolarità. A quella scia di frammenti celesti, corpuscoli danzanti che forse contengono il vagito del cosmo. Io ho il compito di raccogliere un campione e studiarlo. Forse l’umanità dipende da questo. Sì, sono un eroe. Ma non ci credo più in questa storia. Sono un fuggiasco, sono un fuggitivo, sono una rima inesplosa. Sono un graffio nel cielo. Il tempo passa e non passa mai. Mi stai aspettando? Credi ancora che abbiamo un senso? Perché non sono mai stato davvero capace di lasciarmi attraversare da te? Perché ho sempre chiuso a chiave ogni cosa nelle profondità del mio cuore? E tu mi hai capito veramente? E come hai fatto? E perché mi pensi tutto il giorno? Quanto dura un minuto? Perché faccio mille variazioni dello stesso errore? Forse non so amare, non so vivere, non so fare altro che lacerare l’universo? Mi specchio negli occhi del ragno mostruoso che è il mio migliore amico. Ci abbracciamo forte. La luce è sempre più vicina. Granelli di viola e di incertezza penetrano all’interno della navicella. È tempo di varcare la soglia dell’infinito. Ma lui è già volato via. Sta morendo, come tutti quelli della sua specie. Mi lancio fuori dall’abitacolo per raggiungerlo. Morirò così. Insieme a lui. Vorrei dargli un istante di dolcezza prima che i vermi spaziali lo divorino. Poi dopo toccherà a ma vagare nello spazio siderale fino alla morte. Va bene, lo accetto. Spero tu possa perdonarmi. Sarai una splendida mamma. Ti chiedo scusa se ho sepolto il mio cuore nelle stelle. Addio, mio amico dello spazio, mi mancherai. E addio a te, amore mio. Ho capito tropo tardi che questo mio continuo desiderio di stelle è stata la scusa più facile per evitare di essere universo. Vorrei che tu fossi qui, in questo momento che è tutti i momenti, in questo istante che è domani e ieri e ogni qui e ora e ti vedo mentre mi accarezzi e mi tieni per mano, i tuoi capelli intrusi in un bacio nel vento, quel progetto che abbiamo realizzato, vedo me stesso bambino e ci sono io che sono vecchio e stanco, vedo la pioggia di tutta la mia vita, il tuo sorriso accennato che contiene tutte le storie, vedo intrecciarsi ogni cosa, finalmente capisco il significato delle tue lacrime, sento il sapore dell’eternità, sono pronto alla deriva, sono pronto a diventare pulviscolo interstellare, cercherò di illuminarti da stella, perché tutto ciò che posso fare è provare, provare, provare. Ogni volta che mi sveglio, mi ritrovo più lontano da me. Da quel me stesso che ho lasciato naufragare nell’immensità del cosmo. Non sono morto. Non ancora. E nemmeno noi. Mi hanno salvato i coreani. Sono sulla loro navicella. Riesco a chiamarti. Osservo fuori la vastità dello spazio, l’inconcepibile universo. Ripenso al ragno che sono. «Sto tornando a casa».

 

 

 

 

 

Le scimmie s’arrampicano

I grilli saltano

I cavalli galoppano

I gufi osservano

I ghepardi corrono

Le aquile volano

Le persone provano

Questo è quanto.

(DDLC, Eagles can fly)