Recensione di   Roberto Flauto Roberto Flauto

Past Lives

(Film, 2023)

E tutte le vite per tutta la vita

 

 

Tutto ciò che è separato è in un certo qual modo è inseparabile. E lo verifichiamo sempre, senza rendercene conto, nello spessore umano della nostra realtà sociale. Allorquando in seno a una società si considerano gli individui, questi ultimi appaiono manifestamente separati gli uni dagli altri; ma se si cambia prospettiva, se si passa dall’individuo alla società, i detti individui sembrano allora delle appendici inseparabili in seno all’organizzazione sociale. È ugualmente il paradosso dell’individuo e della specie: la nozione di specie è una nozione di continuità attraverso la riproduzione, attraverso il DNA; ma ogni individuo è ben nettamente separato da ogni altro individuo anche e soprattutto nel tempo. In altre parole, tutto ciò che è separato è al tempo stesso inseparabile. Che paradosso! Non si può considerare di conseguenza che tutto è nel tempo ma che tutto ciò che è nel tempo è nello stesso tempo in un al di là o in un al di qua del tempo?

(E. Morin in un dialogo con M. Cassé)

 

 

 

 

 

 

E io e te e tutte le vite per tutta la vita. Provo a distruggere tutto, ma ricordo ogni cosa. Tutto è in frantumi e alla deriva. Una conchiglia del mesozoico. Una penna a sfera. Un gatto che passeggia sui tetti (è notte e piove e buio). Il processo di costruzione dell’attimo in cui. C’è qualcosa – c’è tutto – di poetico e spaventoso in ciò che accade, che siamo, che pensiamo, che guardandoci negli occhi forse allora posso non morire. Qualcosa di incredibilmente primordiale e potente, eterno e sempre nuovo. Come quando piangi e io invento mille storie per trovare casa alle tue lacrime. Come quando mi sveglio all’alba per poterti telefonare. Come quando da bambini eravamo i padroni dell’universo. Davvero, ricordo ogni cosa, anche se provo a distruggere tutto. Penso alla storia d’amore tra un bruco e una sequoia. Un insetto destinato a restare tale soltanto per pochissimo tempo e un albero secolare. La distruzione è genesi, almeno in senso poetico – e non ne esistono altri. Se ne può desumere che l’assenza è la misura di tutte le cose. Il bruco amerà ancora la sequoia quando sarà diventato farfalla, quando potrà finalmente volare e non sarà più condannato a strisciare? Lo zero, infatti, è pur sempre un più e un meno addizionati. La sequoia amerà ancora quel bruco diventato farfalla anche se consapevole del fatto che vivrà trecento anni dopo la sua morte? Il più e il meno, come luce e oscurità, come materia e antimateria, come tutto ciò che permette all’altro di riconoscersi, e tutti insieme diventano bianco (somma di colori) e nero (colori invisibili). Un animale che vive pochi giorni e un albero che vive centinaia di anni. Luminosa oscurità e oscura luminosità: dall’alba dei templi che edifico per adorare te alla distruzione totale e quindi un nuovo big bang. Come possono amarsi? Dove conduce tutto questo? Qual è il senso? Che cos’è che sento nel cuore che fino a ieri non c’era? E tu davvero non tornerai? Puoi vincerlo anche qui il Premio Nobel, o il Pulitzer, o il premio per il sorriso più bello. Ma sì, certo, lo so che devi andare e sono veramente felice che tu segua i tuoi sogni. Allora perché piango? Sento l’universo espandersi, lo sento vibrare. Tutto si agita dentro di noi, sotto ottomila strati di esistenze che siamo noi: e io e te e tutte le vite per tutta la vita. Perché mi hai detto addio, perché ti ho detto addio, perché non lo sappiamo, perché poi ti cerco per dodici anni e poi altri dodici e poi tutta la vita e poi per sempre e poi ancora: perché In-Yeon. E allora l’esplosione creatrice: big bang dritto al cuore. E allora è genesi, e allora è assassinio. Come ogni nascita, come ogni morte. Tutto ciò che esiste, compreso l’inesistente, esiste, e inesiste, solo per noi (perché siamo noi, noi siamo tutto, tutto è noi). Noi eravamo presenti, quando l’universo è sbocciato. Tutti gli atomi dell’universo si sono uniti, in una danza sfrenata e folle, in un unico, minuscolo puntino, che poi è esploso. I miei atomi e i tuoi atomi erano lì, erano sicuramente insieme. Con gli atomi delle stelle, dei pianeti, dei fili d’erba, delle pagine dei libri, del gatto che continua a passeggiare sui tetti (è sempre notte e piove e buio). Quella volta che ho lavato i denti con il tuo spazzolino. Quando abbiamo aspettato l’alba su una panchina, e speravamo non arrivasse mai. Quando passeggiavamo insieme tornando da scuola. I cieli sconfinati dei tuoi occhi verdi in tempesta. Davvero, com’è possibile tutto ciò? Sento le cose esplodere in continuazione dentro di me. Voglio andare a passeggiare sui tetti anche io. Come quel gatto. Come quell’eroe dei fumetti con la faccia da scimmia. Io penso questo: la felicità e la disperazione sono sorelle, non si lasciano mai. Una delle due dice: «a volte vorrei essere proprio come te». E l’altra: «anche io». Ci conosciamo da sempre, io e te. I miei atomi si sono uniti ai tuoi un’infinità di volte in miliardi di anni. Eravamo procarioti autotrofi che senza corpo danzavano nelle profondità di un oceano nero, nerissimo. Abbiamo visto le nostre cellule moltiplicarsi, abbiamo cominciato a respirare. Siamo diventati artropodi, vertebrati, abbiamo conquistato la terraferma attraverso una sconfinata serie di radiazioni adattative. Siamo stati plesiosauri e foglie d’erba, vento forsennato e bollenti raggi di sole; abbiamo attraversato ere geologiche e ci siamo estinti e siamo risorti continuamente. Siamo diventanti i padroni del pianeta come mammiferi. Siamo diventati fiori, piante, forme sempre più complesse di organizzazione biologica, abbiamo cominciato a volare, siamo stati in cima agli alberi più alti, scalato le montagne, ascoltato il frastuono dei vulcani che eruttavano. Siamo stati animali frugivoro-insettivori, abbiamo visto mutare il nostro corpo, abbiamo preso ogni cosa, siamo diventati ogni cosa, siamo diventati tupaie, dermotteri, euarconti, primati. Abbiamo modificato l’ambiente e lo abbiamo reso vivo e vissuto, perché noi siamo vita. Abbiamo cominciato a cercare e a cercarci, a diventare e a diventarci. Abbiamo guardato sotto i sassi e non abbiamo trovato niente: è il progresso. Ci siamo guardati per la prima volta in un riflesso su uno specchio d’acqua. Ci siamo riconosciuti, ci siamo innamorati, siamo morti. Dove andremo dopo? Guarda che bel dipinto. Ci siamo alzati in piedi, abbiamo organizzato i suoni in linguaggio, la nostra massa cerebrale ha aumentato sempre più il proprio volume, abbiamo divorato carcasse putrescenti, abbiamo ucciso e sterminato, alla luce di un fuoco abbiamo alzato la testa e osservato il cielo. Abbiamo dato un nome a tutte le cose, abbiamo inventato dio. Abbiamo viaggiato in ogni direzione, siamo il legno e la pietra scheggiata, il ferro, il cadmio, la plastica, l’elettricità. Abbiamo varcato confini, siamo stati sulla luna a ubriacarci al chiaro di Terra. Siamo noi la singolarità. E abbiamo paura del buio e della luce, siamo divinità in cerca di cieli da abitare. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore. Siamo giunti ovunque e coviamo dentro il timore di non esistere. Abbiamo fede, abbiamo graffi sulla faccia, sogni a forma di incubo. Siamo lo spazio e siamo il tempo, siamo questa pioggia che continua a cadere e siamo il gatto e siamo il tetto. Il mistero che ci abita si espande più velocemente del mistero che abitiamo. Le organizzazioni sociali, le forme dell’equilibrio, la scrittura, le guerre, lo stato di diritto, la moneta, le panchine su cui sedersi e aspettare l’alba, i divani, le villette a schiera, il motore, i campi sterminati di lavanda, la musica che invade l’aria, l’inestinguibile e selvaggio battito di tamburi nella giungla, i libri, il sistema feudale, le scatole di pastelli da quarantotto, il fuoco, i fonemi, gli schiaffi, il processo di ominazione, le arti, gli shuttle, i quadrati costruiti sulle ipotenuse, le invenzioni, gli album di fotografie, la ruota, i social network, le caverne, le carezze, gli occhiali, le teorie per spiegare il mondo, le confessioni tra le lacrime, i disegni dell’infanzia, i bruchi che si innamorano, l’acqua, le cosmogonie, il concetto di infinito e quello di nulla, le parole, i glifi, i demoni, le mode, le divisioni, i baci, le mani che impugnano coltelli, i dubbi e le certezze, le convinzioni profonde e le incertezze ataviche, il fatto che siamo qui, il caso e la necessità, le rovine, il futuro, le scelte – mentre una vecchia sequoia racconta agli uccelli che si fermano sui suoi rami del suo antico amore perduto. E io e te e tutte le vite per tutta la vita. E allora ti lascio andare. E allora mi lasci andare. Perché ti amo. Perché mi ami. Ci abbracciamo fortissimo prima di dirci addio. E torniamo alle nostre vite che chissà, forse, un giorno, un secolo, una pioggia, un amore così. E a differenza di ogni cosa, noi non finiremo mai.