Nessuno Siamo Perfetti

Mentre una balena vola nel cielo.
Mentre un assassino attende nel buio la sua vittima.
Mentre la mano di uno zombi esce dalla tomba.
Mentre qualcuno si punta una pistola alla tempia.
Mentre urla disperate graffiano la notte.
Mentre una solitudine desertifica l’anima.
Mentre una donna canta a una culla vuota.
Mentre uno spettro sumero infesta un frigorifero.
Mentre un serial killer colleziona bulbi oculari.
Mentre un bacio improvviso colora ogni cosa.
Mentre il vicino di casa è un folle omicida.
Mentre in un universo parallelo sei davvero felice.
Mentre la persona che ti dorme accanto sarà la tua morte.
Mentre l’amore si frantuma in mille pezzi.
Mentre una risata vi seppellisce.
Mentre una pioggia senza fine.
Mentre la Vita e la Morte si invidiano.
Mentre chiunque non esiste.
Mentre una lama scintilla nell’oscurità.
Mentre accade tutto questo, c’è una meraviglia esplosiva dentro un cuore che non smette di inventarsi. Ed è quanto a lui basta per essere felice nel mentre.


Quel cuore tempestato di mostri, costellato di tormenti e assurdità, contornato di meraviglie e ossessioni, batte nel petto di Tiziano Sclavi.

Nessuno siamo perfetti è un film documentario di Giancarlo Soldi, che racconta l’amico Tiziano, attraverso le sue stesse parole (con un parallelo di due interviste – una di una decina d’anni prima, e parzialmente già nota, l’altra realizzata appositamente per il film), ma anche attraverso le parole di amici e collaboratori, che hanno accompagnato il suo percorso esistenziale e professionale.

Chi conosce Tiziano Sclavi sa che si tratta di una persona estremamente riservata. Forse non esiste nemmeno. Questo è ciò che sicuramente direbbe di lui uno dei suoi personaggi. Però è vero: l’inesistenza gli è sempre appartenuta. O meglio: l’insistenza dell’inesistenza. Chi ha letto Memorie dall’invisibile sa di cosa parlo.
I suoi libri contengono tutta la sua vita, e viceversa.
C’è l’inquietudine, assassina e buia (Apocalisse). Ci sono la depressione e la solitudine, che non lasciano scampo (Il tornado di valle Scuropasso). Ci sono l’ossessione, la vita quotidiana come gabbia, la follia dell’istante che si fa eterno e dell’eternità che dura un attimo (Nero.TreFilm). C’è la deforme mano della vita che ti accarezza (Mostri), e che ti dice «non ti preoccupare, andrà tutto bene», come il più dolce degli assassini. C’è l’ironia, che è forse, insieme all’amore, la sola vera arma per resistere a questa assurda e grottesca vita.
E la paura, onnipresente. Paura di tutti, soprattutto di ognuno. Del vicino di casa, di quei ragazzi laggiù («vedevo teppisti dappertutto»), dell’impiegato allo sportello, di quella ragazza così bella, dello specchio, del mondo, dei mondi, del tempo che passa e che non passa mai.
Come ogni pioggia.

Tiziano Sclavi è uno scrittore sopraffino.
Un autore per molti aspetti geniale. Ha scritto decine di romanzi, testi per l’infanzia, poesie, canzoni, ballate, filastrocche, fumetti. Ma il suo nome è indissolubilmente legato a quello della sua creatura più grande, potente e meravigliosa. Dylan Dog.

Se è vero, e lo è, come dice Cummings, che «la domanda “io chi sono?” ha come risposta “io sono ciò che scrivo”», allora è proprio vero che Tiziano Sclavi non esiste. E la sua inesistenza è un fiume in piena (notte).

Nel film di Soldi tutto ciò emerge con chiarezza. O meglio: con oscurità. Sclavi parla della sua vita, cioè dei suoi libri, delle sue storie, delle vignette che danno un senso ai giorni. Parla dei suoi mostri, dei suoi demoni. L’alcol, che ha accompagnato una gran parte della sua vita, inquinandola come ogni malsana dipendenza. La solitudine, questa malattia dell’anima che desertifica il mondo, spogliandolo di ogni contorno, ogni dettaglio: tutto è informe, inconsistente, vuoto. Sclavi parla di sua madre, che per punirlo gli bruciava i fumetti; ricorda le paure della sua infanzia, il terrore infinito che solo un bambino può provare. Si intuisce che il suo è un rapporto difficile con le donne, eppure non accenna mai alla sua vita sentimentale, possiamo soltanto scorgere la fede sul suo anulare sinistro. Ma l’amore, in qualsiasi forma, è sempre presente nella produzione sclaviana, è uno degli elementi cardine della sua poetica, per un motivo molto semplice: non esiste morte senza amore. Thanatos e Eros vanno sempre insieme.
C’è l’amore per gli animali (quanta dolcezza in quelle carezze che dà ai suoi cuccioli mentre parla al suo amico Giancarlo), l’amore per la paura, per i mostri, per l’orrore, per la letteratura, per la musica, per i sogni.
Per la poesia.

Amo Sclavi, amo il suo mondo, i suoi mostri.
Amo i fumetti, la letteratura, le parole e tutti i fantasmi.
E chi ama tutto ciò non può non voler bene a questo piccolo film.
Nessuno siamo perfetti.
Ovvero:
Siamo perfetti nessuno.
Io la vedo così.
Ma non si tratta di un vuoto sterile e fine a se stesso, no.
Si tratta di un vuoto paradossale: perché contiene tutte le nascite.
Lo immagino proprio così, il cuore di Tiziano Sclavi.
Gravido e sofferente di ricchezza creativa, di storie volanti e meravigliosi orrori, assurdità e cortocircuiti esistenziali.
Il mondo sclaviano, bagnato da una pioggia incessante, è popolato di creature mostruose e demoniache, di amori senza pietà, «di ladri, di assassini e di altri tipi strani / di angoscia e di paura che non venga più domani».
C’è notte in ogni giorno, oscurità dense e piene di occhi.
Che bellezza.


P.S.
Una volta (era l’inizio degli anni Novanta e il successo di Dylan Dog, nato pochi anni prima, nel 1986, stava salendo alle stelle – consacrando Sclavi), un lettore gli chiese «Ma tu chi sei, Dylan o Groucho?». Ecco, non so se conoscete Dylan Dog, i suoi personaggi, il mondo dylaniano, il suo universo narrativo e tutto il resto, non ne parlerò qui (magari in futuro, chissà…), ma la risposta che diede Sclavi a quella domanda è la perfetta sintesi della sua poetica, della sua visione del mondo e della vita, di questo film, di sé stesso, di ogni suo fumetto, ogni sua ballata, ogni suo libro.

«Io sono i mostri».


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