Neve di cuori

 

E in effetti spesso mi sento come di ghiaccio, e sento che sarà inevitabile finché non mi trovi un rifugio tranquillo, dove tutto ciò che mi riguarda mi tocchi meno da vicino e perciò mi turbi meno.

F. Holderlin

 

 

Kumiko è una cacciatrice di tesori. Kumiko ha un coniglio, che è tutto il suo mondo. Kumiko passeggia sulla spiaggia, entra in una grotta, scava con le mani nel terreno, trova il suo tesoro. Una VHS di Fargo, il film dei fratelli Coen. Nel film, qualcuno sotterra una valigia piena di soldi sotto la neve. E Fargo, lo ricorderete di certo, si apre con una avvertenza: “questa è una storia vera”. Kumiko ci crede. Quella valigetta deve essere sepolta ancora lì, sotto la neve. Il tesoro la sta aspettando. Allora parte, Kumiko, dal Giappone in direzione Minnesota. Verso il tesoro, verso la neve, dentro un film che è una storia vera – restando però costantemente ai margini di quella storia che è la sua vita. Perché qui si parla di depressione, di estraniamento dalla realtà, di solitudine che diventa unità di misura delle cose del mondo. Si parla di quella neve che copra il cuore degli uomini, che ne attutisce i battiti, che ne ghiaccia ogni palpito, che copre intere distese di esistenza.

 

Ho vissuto la storia di Kumiko con un senso di crescente tristezza. Non avevo idea di che genere di film fosse, il titolo e la prima scena, sulla spiaggia, mi avevano fatto pensare a qualcosa di diverso, di sognante e tenero. Ero pronto a innamorarmi di Kumiko, ma lei ha fatto di tutto per respingermi, così come ha fatto con tutte le persone che ha incontrato durante il suo viaggio. Ma le ho voluto un gran bene, e ancora gliene voglio. La profonda depressione e il senso di estraniamento dalla realtà di questa giovane ragazza le fanno compiere dei gesti di assoluta distruzione dei rapporti sociali. Il momento più toccante, quello in cui lei si distacca definitivamente da tutto e tutti, è l'abbandono del coniglietto sul sedile della metropolitana. Un addio triste, silenzioso, lacerante, dentro una bufera di neve che decreta l’ultimo battito del cuore di chi si arrende alla vita, un’anima consumata dalla follia – dal dolore di essere vivi, dalla depressione, dal distacco dal reale, dall’abbandono del mondo.

 

La sua vita è un’orchestra di addii istantanei e ghiacciati. Kumiko arriva in America, raggiunge il Minnesota, non si cura di nessuno, la sua depressione - venata di malinconia di persone e sensazioni che non ha mai conosciuto – l’ha sepolta totalmente. Così come la seppellisce la bufera di neve quando arriva a pochi passi dal suo tesoro. Io credo che il finale sia altro rispetto al resto, perché per me Kumiko in quella bufera è morta. Sepolta da una coltre bianca simbolo della sua patologica e asfissiante visione del reale. Davvero bello, comunque, quel finale sulla neve, onirico, con il sorriso che per la prima volta colora il suo viso. E il ritorno di Bunzo, il suo coniglietto, l'unico compagno di vita, l'unico con cui abbia interagito sinceramente.

 

Kumiko nella neve. Bianco ovunque. Oblio, cecità. Una ragazza dagli occhi di pioggia è entrata in un film per cercare un tesoro sepolto sotto la neve: in fondo, credo che questa sia la metafora di un viaggio interiore nel tentativo di disseppellire il proprio cuore, sepolto da una depressione, una deriva mentale, che lo ha ghiacciato, paralizzandone ogni battito. Eppure, malgrado ogni sforzo, nonostante tutti i sacrifici, il bianco ha vinto. La neve seppellisce il cuore. La vita finisce, il film finisce. Anzi, no. Perché ci sono io che lo sto guardando. E non può essere una finzione. È tutto vero. 

 

Kumiko, tesoro mio, te lo prometto.

Verrò a cercarti sotto la neve.