Braid - [Chimera]

L'ho visto stanotte, e dovrò sicuramente rivederlo, perché questo è il genere di film che va rivisto una seconda e una terza volta. Perché è ambiguo, strano, stratificato, metaforico. Il genere che amo di più. Certo, è tutt'altro che perfetto. E il lato estetico, certamente, straripa su tutto il resto - con quei colori taglienti, quelle luci, quelle pose - e lo invade totalmente, diventando parte della narrazione (secondo me non è stato un mero esercizio di stile), per questo non mi ha infastidito, ma oltremodo affascinato. E' un film che sto ancora elaborando. Non sono sicuro di averne colto il significato. Ho una mezza idea, provo a buttarla giù come viene, e sarà certamente una lettura tutta mia.

Daphne, Tilda e Petula sono un'unica persona. O meglio, diversi aspetti di una stessa mente affetta da tristezza e solitudine. "Braid" quindi "trecce", ovvero qualcosa di unico che nasce dalla combinazione di due o più elementi. Ma anche "Chimera", come il mostro mitologico formato da tre animali diversi (leone, capra, serpente), una metafora ancora più diretta di un unicum costituito da tre differenti elementi. Quindi una possibile chiave di lettura potrebbe essere la seguente: le tre bambine stanno giocando nella casa sull'albero, ma poi una di loro cade, un evento che segna inevitabilmente la vita di tutte loro. Ma la mente di Daphne ne resta profondamente segnata, e qui si inserisce la storia narrata dal film, quella di un difficile, complicato e doloroso rapporto tra una condizione esistenziale segnata dal dolore e dall'impossibilità di procreare e quel desiderio insaziabile di vita che solo un essere umano può avere. E allora se il "gioco" è stato il motivo scatenante della caduta può essere anche la ragione della "risalita", del ritorno alla stabilità emotiva, cognitiva, emozionale (del resto, ogni gioco infantile si basa sulla dinamica del "facciamo che io ero", formula magica che apre qualsiasi porta, ognuna delle quali apre su mondi plausibili benché alieni). Allora, forse, il film non è altro che una delirante fantasia di Daphne che, in un ciclo infinito (sul calendario la data indica il giorno 8, ovvero il simbolo dell'infinito, che richiama anche l'uroboro, altro animale mitologico, che simboleggia l'eterno ritorno), durante il quale ogni cosa è possibile (come in ogni gioco), almeno finché si rispettano le tre regole fondamentali. Ma la realtà è sempre in agguato, continuamente si insinua nelle pieghe dell'immaginazione, inquinando ogni fantasia (l'ispettore potrebbe rappresentare ciò), e anche la mente più distorta non può sottrarsi alle logiche dell'essere vivi (Petula, in tal senso, rappresenterebbe la parte che si oppone alla follia del sogno - colei che inorridisce alla scena del massacro dell'ispettore; è colei che vuole fuggire dalla casa; è lei il "dottore", cioè colui che cura la "malattia" - che in questo caso è il gioco stesso). Tilda invece sarebbe la parte che permette ai due opposti di stare insieme (l'elastico della treccia), è lei che tiene il diario degli eventi, colei che parla a Petula alla fine, è lei che viene "riconosciuta" dal barbone a inizio film, il quale le dice qualcosa tipo "torni sempre indietro" (un possibile riferimento al fatto che è lei che fa ripartire il gioco ogni volta, gioco che comincia sempre quando lei suona il campanello, tra l'altro).
E credo che questa "esistenza fuori dal mondo" duri da moltissimo tempo, quella vecchia che bacia lo specchio potrebbe essere proprio Petula, eppure quando Tilda si pettina davanti allo specchio (sul quale c'è il bacio) sul suo pettine restano capelli bianchi, quindi forse la vecchia è lei. Oppure, forse, è semplicemente il momento, per Daphne, di ricominciare a giocare. Perché solo quando sono tutte e tre insieme il mondo gira come deve e tutto funziona (infatti spingono l'auto nel lago soltanto quando ci provano in tre). Tutto il film si snoda tra l'onirico e il metaforico, una narrazione nella quale il tempo scorre secondo direzioni che appartengono al mito e al sogno, infatti, come dice a un certo punto Daphne in quella specie di indovinello, "la tomba si spalancherà quando distruggerai la magia del tempo", e ciò che distrugge la magia del tempo è sempre la stessa cosa: il risveglio, l'alba, la fine del sogno, la caduta dall'albero. E allora ecco l'aurora che porta via il sogno, la fine del gioco, il ritorno alla realtà: il suicidio. La prima è Tilda (l'elastico che, andando via, permetterà alla treccia di sciogliersi), poi Petula e infine Daphne, l'unica che muore fuori dalla casa (metafora della sua mente?). E poi, inevitabilmente, si ricomincia. Perché la realtà è come il gioco: è bello quando dura poco.