Considerazioni su Oppenheimer

Nel 1955 Richard Feynman tenne un discorso su “Il valore della scienza”. Esordì con un proverbio buddista che aveva appreso durante un viaggio a Honolulu:

“Ad ogni uomo viene data la chiave delle porte del paradiso; la stessa chiave apre le porte dell’inferno”. 

Potrebbe essere questa la sintesi estrema di un capolavoro cinematografico che indubbiamente ha riportato all’attenzione mondiale una discussione spinosa dal punto di vista etico e morale. 

Il focus principale del film è stato il processo ad Oppenheimer, il capo del progetto Manhattan, non l’inventore della bomba atomica. Alla luce di questo non è difficile capire come la narrazione storica di un fatto realmente accaduto sia stata l’occasione d’oro per processare ancora una volta la scienza e le sue responsabilità tecniche e politiche. 

 

Dal momento che è veramente difficile trovare dei difetti in questo capolavoro cinematografico, dal momento che non sono un esperto di cinema o di storia e considerando che ormai tutti hanno recensito Oppenheimer,  mi limiterò ad esprimere 3 considerazioni di carattere personale. 

 

Iniziamo proprio da Feynman. Nel 1955 erano passati 10 anni dallo sgancio delle due bombe, il pubblico riunitosi per ascoltare il futuro premio Nobel (1965) aveva di fronte una personalità molto più matura rispetto al giovane genio; ingaggiato nel progetto Manhattan prima ancora di prendere una laurea, lui stesso si definì un “signor nessuno” per poi divenire un punto di riferimento come pochi. 

Un cambio di prospettiva che non ha interessato solo le menti più giovani e ferventi del progetto. Chi lo ha capito con il Trinity Test, chi ne ha avuto la conferma con Hiroshima, chi la certezza con Nagasaki, tutti erano consapevoli che era iniziata una nuova epoca ed era necessario prendere una posizione netta. Non c’era più un Hitler da battere sul tempo, ma un’umanità da salvaguardare. 

È facile capire chi è Feynman, il regista ha voluto sottolineare una delle sue passioni più note, quella di suonare continuamente i bonghi. Non è solo un’immagine di spensieratezza, Feynman li suonava in ogni contesto, il ritmo era un catalizzatore della sua attività cerebrale. Non furono anni semplici per lo scienziato americano, oltre al coinvolgimento nel programma bellico più importante della storia ha dovuto affrontare la perdita dell’amata e giovane moglie. 

 

Andando avanti passiamo alla piccola delusione per un italiano medio, cioè la poca attenzione data a Enrico Fermi. Delusione che passa in fretta perché, come ho lasciato intendere prima, questo film è un processo, non una biografia. Pochi nella storia avranno avuto il carisma di Enrico Fermi. Quasi come un dipinto di Caravaggio, la sua biografia ha senso solo se si contemplano insieme luci e ombre. 

Per chi volesse recuperare, David N. Schwartz, figlio del premio Nobel per la scoperta del neutrino muonico, è l’autore di una delle più belle biografie che abbia mai letto: L’ultimo uomo che sapeva tutto. Non si tratta né di un’apologia né di una critica morale, l’autore narra in maniera unica un personaggio sicuramente enigmatico ma, allo stesso tempo, meritevole di grande prestigio; il riflesso esemplare di uno degli archi temporali più complessi della storia.

 

L’ultima considerazione è per il regista. Fare dei complimenti a C. Nolan è come aggiungere un bicchier d’acqua nell’oceano. Tuttavia in questo film ho apprezzato particolarmente il gioco di colori adoperato per distinguere il piano oggettivo/storico da quello soggettivo e il riferimento molto velato e forse complottista nei confronti di J. F. Kennedy. Il giovane senatore che votò a favore di Oppenheimer a scapito di Strauss, il presidente che chiese al congresso più di 22 mld di dollari per finanziare il programma Apollo, il presidente che fu ammazzato alle 12.30 del 22 novembre 1963 poco prima di recarsi alla cerimonia in cui Oppenheimer veniva riabilitato politicamente e premiato con la medaglia dell’ Enrico Fermi Award (in onore del fisico deceduto nel 1954).

 

Concludo proclamando il “vincitore” di questa storia: Albert Einstein. Se dal film è emerso solo un genio d’altri tempi non adatto alla modernità, vi invito a leggere il suo “Discorso sulla pace nell’era atomica” - 12 febbraio 1950. La sua posizione è la più coerente e le sue parole hanno una forza oggettiva. Resta il fatto che la storia ha trattato queste parole come le sue teorie, difficili da capire, impossibili da applicare alle questioni umane.