Un inno alla vita e all’amore, infinito e senza confini, in grado di superare il limite dell’alcol nel farci sentire finalmente appagati (dove prima era invece tutto vuoto) rispetto a qualsiasi altra sostanza, farmaco o esperienza.
Un amore che a posteriori, alla luce della tragedia della figlia di Vinterberg (morta prematuramente in un incidente stradale pochi giorni dopo l’inizio delle riprese), possiamo declinare persino nel rapporto trans-generazionale: genitori e figli, studenti e professori. Con una risoluzione di quell’apparente disparità iniziale che vuole far sentire grandi i giovani (nel “giocare” quasi a fare gli adulti) e quegli adulti a sentirsi di nuovo giovani e liberi. E in questo voler essere altro da noi, nel guardare quell’altro per essere COME lui (o per esserne l’opposto estremo), ci sta l’opposizione, l’incomunicabilità, la sofferenza. Mentre nel guardare l’altro per essere INSIEME a lui, ci sta appunto tutto questo Amore.

Quegli uomini di mezza età pensano come professori di non essere più in grado di parlare a giovani e adolescenti (“Questi ragazzetti mancano di rispetto. Gli andrebbe tirato un calcio in culo”). E così si chiudono nella loro bolla, nel loro corpo che sta invecchiando, nelle loro famiglie imperfette che non comunicano ormai più.

Quegli uomini di mezza età insomma sembrano rimpiangere la giovinezza, incapaci di vedere brio in un corpo acciaccato che ormai sentono paralizzato e anestetizzato, dove è impossibile provare stimoli e relazionarsi alle persone attorno. Il loro viso grigio pare trovare di nuovo senso solo nel rosso intenso del vino, dell’ambrato della birra o di quel trasparente denso della vodka. Più l’alcol sale, più l’euforia li pervade e più sono vicini a cadere nel profondo baratro.
Decidono persino di fare un saggio psicologico su quell’esperimento, che più che il senso dell’alcol rivela la fallibilità delle loro vite, pronte a cadere rovinosamente per terra (come accade appunto quando sono ubriachi). Livello 1, Livello 2, Livello 3: l’alcol passa dal condiviso, al personalizzato fino all’oblio più totale.

Eppure si può riuscire ancora, si può evitare quell’esperimento disastroso. E partire a cantare con una mano sul cuore (come fa il piccolo Quattrocchi che in quel rapporto trans-generazionale ha ritrovato un senso).
È un inno, alla vita, a quella giovinezza che è sogno. E al sogno di una giovinezza che non c’è più. Ma si può ancora sognare lo stesso, con gli occhi lucidi. Bastano le piccole cose a fare la differenza. Basta vederle, con una mente altrettanto lucida.

E così si può ripartire: Livello 1. Ma stavolta è la vita. Nessun saggio psicologico. Solo un sms. Semplicemente l’Amore.
Un altro giro. Ma stavolta per ballare. Roteare. E festeggiare. Con quei vecchi passi di jazz che sembravano nascosti in un passato lontano.
Tutti assieme. Noi. E i giovani.
Vinterberg. E quella figlia strappata troppo presto alla vita.
Quello che conta è l’Amore, nonostante tutto. Ne basta uno 0,05% costante, sempre. Ma lì si può anche salire, fino all’eccesso. Per citare Paul Thomas Anderson “Ubriaco d’Amore”.
E ci si può buttare in un salto nel vuoto. In un mare in cui prima mettevamo il giubbotto di salvataggio.
Perché l’Amore ti tiene a galla, mentre tutto attorno ti porta giù nell’abisso.