Quando il mistero dell’amore è più indecifrabile della morte

Interrogarsi sul caso di una morte sospetta, un omicidio irrisolto senza ancora colpevole, o dove forse il colpevole c'è ma non lo si vuole trovare, pur essendo poliziotti, perché in quella ricerca senza cattura si è innescato nel frattempo un secondo mistero, quello dell’amore, e una seconda morte, quella della solitudine. Perché ora non esiste più solo un io, ma prima un tu e dopo un noi (“Noi chi?”). Così un interrogatorio diventa un primo appuntamento e la confessione di un crimine la più sincera dichiarazione d’amore (per questo fatale). Un incrocio tra omicidi e innamoramenti, assassini e amanti, colpevoli e innocenti allo stesso tempo per aver fatto finire una vita ma averne riaccesa una nuova. Perché amore e morte sono fatte della stessa natura distruttiva, inconciliabile e incomprensibile. Un mistero irrisolto su cui dannarsi ad occhi aperti che nell’insonnia nemmeno di notte riescono a chiudersi più. 

 

E così cercare disperatamente di trovare un senso, un ordine, un fil rouge, lì dove i pezzi (sempre manipolati e manipolatori) faticano invece ad incastrarsi, ad incontrarsi, a scegliere un prima e poi un dopo, tra i pensieri, i sentimenti e quindi i ricordi. Perché è facile (e consolatorio) vivere una storia con un finale già scritto, indagare su un omicidio di cui si conosce perfettamente il colpevole e il movente, iniziare una relazione per avere il potere di “decidere di lasciarsi”, come da titolo. Non potrà deludere, non si potrà fallire, perché si insegue qualcosa che ha già forma e nome (e su cui avere, sempre, il pieno controllo). Ma in fondo quando tutti i perché hanno già risposte, che senso ha vivere? Se la meta è già determinata, che senso ha il percorso per raggiungerla? È il Sehnsucht romantico, “la malattia del doloroso bramare”, l’anelito, il desiderio del desiderio. È il mistero della vita che con i suoi dolorosi casi irrisolti determina il ritmo della nostra esistenza. Perché nell’accettare la paura di soffrire ci apriamo nell’ignoto la possibilità di essere felici per davvero. Ma in quel labirinto del desiderio, in mezzo alla nebbia fittissima, ci si perderà, vagando senza direzione con l’ossessione per parole indecifrabili e dilanianti senza ancora significato, rese ancora più enigmatiche nel divario linguistico cinese-coreano che nel non detto non danno tregua nel continuare invece a dire. Mentre le immagini maestose di Park Chan-Wook non hanno neanche più bisogno di parole, perché hanno già detto. Tutto. Come solo il grande cinema sa fare.

 

Nel momento in cui mi hai detto che mi amavi, il tuo amore è finito. Nel momento in cui il tuo amore è finito, il mio amore è iniziato" viene detto in una delle frasi più emblematiche del film. Un amore appunto inconciliabile e inconciliante, complementare solo nella sua negazione, di anime a distanze chilometriche e le cui mani si incontrano solo strette dalle manette. 
E così bruciare le foto, eliminare le note vocali, cancellare insomma tutte le prove possibili (inclusi noi stessi) che mischiano la propria (doppia) colpevolezza criminale ai segni di un amore (doppio) ormai non più ipotetico ma sempre inaccettabile.

Ma anche senza prove esisteranno comunque casi irrisolti per cui valga la pena rimanere svegli, anche senza nessuna parola o immagine che possa più testimoniarli.