Spesso definiamo noi stessi in base alle relazioni che scandiscono la nostra quotidianità, rispetto al ruolo che ricopriamo ogni giorno nel mondo. Così il protagonista Ingimundur, dopo aver perso la moglie in un incidente stradale, rispondendo alla domanda “Chi sei?”, dice: “Sono un padre, un nonno, un poliziotto” e solo dopo ammette “Sono un vedovo”. Già in queste parole si nasconde l’oscuro motore d’azione del protagonista: la continua ed ossessiva ricerca degli altri, per definirsi in categorie che mascherino quell'unica devastante espressione "Sono solo". Quella condizione estrema che sembra ancora più inaccettabile nel vuoto immenso dell'Islanda. Sì, perché siamo ciò che siamo anche attraverso qualcosa che è distinto da noi, che dipende da tutte quelle persone con cui si è costruita una realtà condivisa.

Ma a volte alcuni pezzi di quel mondo si frantumano. E una moglie può morire improvvisamente in un incidente stradale. Lasciando un vuoto altrettanto immenso da colmare. Così Ingimundur passa in un attimo dal potersi definire “marito” al doversi attribuire e ad abituare all’epiteto di “vedovo”. In questi momenti quell’individualità di cui si diceva prima è messa a dura prova, diventando tormentata, se non patologica. Perché si distrugge una parte di noi e della nostra essenza.

Pervasa da un’inquietudine che pare essere sempre sul punto di esplodere, quest’opera seconda rappresenta in un'Islanda desolata l’elaborazione di un lutto dai molteplici esiti simbolici e metaforici. Disseminati in tutta la pellicola in maniera frammentaria, essi risultano però spesso poco coesi, incapaci di condurre ad una visione unitaria che includa tutti quei segni accennati, ma mai approfonditi. Raggiungendo un unico stato di magica suggestione, che affascina certo, ma non convince del tutto.
Così quella casa di famiglia, che ossessivamente Ingimundur vuole costruire e ristrutturare, rappresenta il suo tentativo disperato di riempire il vuoto fisico lasciato dalla scomparsa della moglie. Costruire qualcosa capace di sostituire quell’assenza con una presenza. Uno spazio materiale che, come dice il protagonista stesso, “deve resistere alle intemperie”. Che dia sicurezza e protezione per un futuro che si vorrebbe scrivere e non solo immaginare. Un luogo che sopravviva al tempo, ai ricordi e al passato.
Ma così allo stesso modo bisogna intendere anche quei continui ed incessanti annunci di una morte e di violenza ormai imminenti. Da una macchia di sangue che fatica ad andare a via, alla violenta e spregiudicata uccisione di un pesce appena pescato, sbattuto con impeto (ma serenità) su un tavolo, per porre fine alla sua agonia. Tutte queste condizioni legano in una dimensione contemporaneamente magica ed angosciante le vite di Ingimundur e della sua nipotina Salka, in una complicità che si fa dolore e sopportazione, a riconferma di quei ruoli relazionali, di cui si diceva all’inizio, che ci definiscono grazie a chi ci circonda.

Ma il passato continua a tormentare il protagonista. E la morte stessa della moglie sembra non dargli tregua. Perché Ingimundur cerca senso e razionalità in qualcosa che appare invece troppo misterioso per essere compreso. Ingimundur vuole vedere, con i suoi occhi, quello che è stato e che non ha vissuto. Da qui nasce la sua ossessione per quelle fotografie e quei video-ricordo, che vorrebbe colmassero memorie difettive di una realtà di coppia forse mai davvero condivisa.
Perché Ingimundur vuole continuare ad essere quel padre, quel nonno, quel poliziotto. Ma smettere di essere vedovo.
E per farlo, la realtà non basterà più.
Bisognerà abbandonare quella bianca nebbia che impedisce di vedere oltre (dove un sasso che rotola giù dal pendio può essere solo ascoltato e non visto).
E passare al nero di una buia galleria.
E solo a quel punto, superando quei non-colori, si avrà accesso ad un mondo dove tutto è finalmente visibile.
Un mondo disegnato con i colori della passione e dell’amore, colori, però, che in quella vita d’Islanda desolata non sono mai esistiti per davvero.

Da Il Buio In Sala - Resoconto del 37 Torino Film Festival (2019)