Miliardi di persone al mondo e nessuna di loro è una comparsa: ognuno è protagonista della sua storia.

Ci sono molti film che entrano a far parte della Storia del Cinema, pochi che fanno da spartiacque (c'era un prima e adesso un dopo) e altri ancora che ne costituiscono l'essenza primaria, la filosofia stessa della Settima Arte.

 

Uno di questi rari esempi è costituito dal lavoro del 2008 di Charlie Kaufman, probabilmente il miglior sceneggiatore in circolazione che in quella occasione esordì dietro la macchina da presa.

 

Per poter parlare di “Synecdoche”  occorrerebbe scrivere un libro composto da centinaia di pagine e questo non è affatto il posto giusto per effettuare un'analisi approfondita sui possibili significati della trama.

 

Qui voglio solamente descrivere brevemente di cosa tratta il film e perché è così importante conoscerlo per la propria cultura personale (cinefila e non).

 

Intanto bisogna capire il significato della parola synecdoche: è una figura retorica (come la metafora, l'allegoria o la metonimia) con cui si utilizza la parte per indicare l'intero o viceversa, in latino “pars pro toto” e “totem pro parte”: per esempio, "l'Italia ha vinto la medaglia d'oro olimpica nel salto in alto" (si utilizza l'Italia per indicare tutto il popolo quando a vincere è stato solamente un cittadino italiano, Gianmarco Tamberi) oppure “Mi puoi dare una mano?” (si utilizza una parte del corpo umano per indicare un generico bisogno di aiuto).

 

Pertanto “Synecdoche New York” mostra una particolare parte per indicare il tutto e mostra il tutto per indicare una parte in particolare.

 

Interpretato da un immenso Philip Seymour Hoffman (purtroppo scomparso a soli 46 anni a causa della tossicodipendenza), uno degli attori più capaci degli ultimi trent'anni, nella parte di Caden Codart, un regista che, dopo essere stato lasciato dalla moglie, risulta vincitore di un premio in denaro che vuole utilizzare per dare vita ad una grande opera teatrale basata sulla sua vita.

 

Per raggiungere questo obiettivo acquista un enorme capannone industriale dove verrà costruito il set.

 

Il film, ad una prima visione, apparirà molto criptico e di difficile interpretazione, ci vorranno due o tre visioni per avere il quadro più chiaro, fermo restando che si potranno adottare varie chiavi interpretative.

 

La vita in un film o il film di una vita si potrebbe sintetizzare (il tutto per una parte o una parte per il tutto) e la narrazione di Kaufmann (non sempre lineare in quanto l'andamento del Tempo e l'ordine cronologico degli eventi non viene rigidamente rispettato per tutto il film) maschera le cose rendendole sempre più pregne di significati.

 

E' un film imprescindibile per ogni spettatore ma occorre essere mentalmente preparati a vedere un'opera complessa, molto stratificata ma straordinariamente affascinante.

 

E'  puro Cinema da osservare con occhi spalancati e con il massimo silenzio (i dialoghi sono fondamentali per comprendere gli eventi): che lo spettacolo abbia inizio…

 

 

di Rael70