Il trionfo della volontà

Un documentario che rivela un importantissimo dilemma morale e, con esso, la meravigliosa potenza del mezzo cinematografico: è lecito apprezzare un film nazista?Dire che, per esempio, La Corazzata Potëmkin è un capolavoro non crea un cortocircuito mentale che faccia passare per filo-socialista chi lo apprezzi; ma dire che Il Trionfo della Volontà di Leni Rienfesthal lo sia fa fare molto facilmente quel passo fallace ma quasi inevitabile.Come bisogna vivere la spettatorialità di un film come questo? Come se fosse un film qualsiasi, ovvero lasciandosi catturare e coinvolgere dai protagonisti? In questo modo si verrebbe, però, a coincidere e, in qualche modo, simpatizzare (o empatizzare), seppur solo momentaneamente, con i protagonisti. Come se non fosse un film? Allora sarebbe non-cinema. In questo caso, cosa sarebbe?Leni Riefensthal, a distanza di 83 anni dalla realizzazione di questo capolavoro, riesce ancora a turbare chi il Nazionalsocialismo lo ha osservato da lontano, nello spazio e nel tempo, attraverso i libri di storia: durante la visione del film, infatti, ho avuto costantemente una sensazione profondamente sgradevole, dovuta al fatto di essere meravigliato dalle immagini e, quindi, di star amando un'opera che deifica (e la simbologia religiosa torna molto spesso nel corso del film) Hitler, probabilmente il più grande sinonimo di "Male" e "Malvagità" della storia dell'umanità.Il mezzo cinematografico, così, rivela la sua straordinaria forza di valicare i limiti delle ideologie, facendo da mediatore tra Nazismo e anti-Nazismo, tra apoteosi hitleriana e disgusto per il Führer. Il mezzo cinematografico, così, rivela il suo carattere universale ed universalizzante.