The Lighthouse

The Lighthouse è il perfetto esempio della poetica postmoderna che da Tarantino in avanti ha prodotto opere magnifiche (Moulin Rouge di Baz Luhrmann, The Strange Color of Your Body's Tears di Hélèn Cattet e Bruno Forzani,...) fondendo in sé quanto già visto e udito altrove e, nel far ciò, generando qualcosa di nuovo ed impensabile. Nei circa 100 minuti di film, Eggers raccoglie tutto ciò che ama e lo getta in faccia allo spettatore, da Bergman a Shining, da Hitchcock a Murnau, il tutto condito da un comparto sonoro che è il vero valore aggiunto del film. Senza nulla togliere agli eccezionali Pattison e Dafoe né all'elegantissimo Eggers stesso o allo strabiliante d.o.p. Jarin Blaschke, sono le musiche di Mark Korven a donare a The Lighthouse quell'aura di timore reverenziale che è proprio delle opere davvero straordinarie (nel senso dell'etimo latino, fuori dall'ordinario).
È tutto già visto, in questo film, ma nulla è veramente visto. Tutto è nuovo. Sebbene ogni frame del film sussurri il nome di Bergman, del quale Eggers è il più degno erede nel panorama contemporaneo, partendo dall'estetica del Maestro svedese e modernizzandola attraverso movimenti di macchina che il regista de Il Settimo Sigillo avrebbe, forse, non solo rifiutato ma rigettato, The Lighthouse è The Lighthouse. Non è la copia di alcunché, è puro cinema d'autore, che fa confluire in sé, come i film di Tarantino, ciò che l'autore stesso ama e ammira.