Revenge

Guardando Revenge mi è venuto in mente, forse con ragione, forse senza, Lars Von Trier. Sia chiaro: il film di Coralie Fargeat dista anni luce dal cinema del cineasta danese. MA. Pensiamo a Dogville. Una donna è vittima di un gruppo (qui di tre uomini, lì di un'intera cittadinanza); la donna, ovvero, secondo la tradizione fallocentrica, il sesso debole, viene schiacciata dal gruppo; la donna annienta il gruppo.In Revenge il discorso femminista, condotto attraverso esagerazioni anatomiche al limite del credibile (che, tuttavia, stanno alla base del "contratto" che autore e spettatore stipulano all'inizio della visione di un film), non è una mera questione di vendetta. Questa appartiene ormai alla storia del cinema: una donna che si vendica è stata vista milioni di volte (Kill Bill, Lady Vendetta, Lady Snowblood,...). In Revenge la vendetta diviene strumento attraverso il quale operare un rovesciamento dei rapporti di forza tra sessi: i tre uomini presenti nel film appaiono il sesso debole. E questo è mostrato chiaramente -ma a bassa voce- nella scena finale del film, quando la protagonista, finalmente vis à vis con il suo obiettivo principale, viene inquadrata con la macchina da presa che, dal basso, segue tutto il suo corpo: giunta al pube, il cinturone che porta alla vita diviene sagoma fallica di proporzioni ben superiori rispetto a quelle poco prima viste, seppur di sfuggita, dell'uomo.