Naomi ha perso la custodia del figlio di sei anni. Verrà rimpatriata in Giappone e non vedrà più il suo bambino per altri 11 lunghi anni. Ha solo quattro giorni di tempo per dirgli addio e per farsi perdonare.
Alle volte capita di avere la fortuna di assistere alla nascita di un talento. Leonardo Guerra Seràgnoli è nato a Roma, ha studiato negli Stati Uniti e vive a Londra. “Last summer” è il suo primo lungometraggio ed è un’opera che lascerà stupefatti tutti i fortunati spettatori che lo vedranno.
Come confini il cielo ed il mare. Sullo sfondo la costa pugliese, verde, selvaggia, bellissima. Lo spazio è quello di una barca a vela, grande e maestosa, di quelle che solo i ricchi si possono permettere. È qui che Naomi (Rinko Kikuchi) dovrà dire addio a suo figlio. Lo spazio chiuso dell’imbarcazione diventa una prigione, una pentola a pressione pronta ad esplodere. Non servono dialoghi o spiegazioni a Seràgnoli, la tensione si accumula e cresce, crudele e tagliente come una lama, affilata ed implacabile. Da una parte Naomi, dall’altra Ken (Ken Brady), carne della sua carne. In mezzo l’equipaggio, possessivo e protettivo soprattutto nella figura di Rebecca (Lucy Griffith), la tuttofare che segue sempre Ken, pronta ad esaudire ogni suo desiderio. Sono i gesti a delineare le traiettorie delle emozioni. La presenza costante di Rebecca che segue come un’ombra Ken, sempre pronta a contraddire Naomi. Lo tiene sotto in un vigile controllo. Lo vizia oltre ogni modo, ne asseconda ogni capriccio, ma in realtà gli impedisce di essere libero. Vorrebbe essere lei la figura materna ma in realtà è un carceriere. Naomi chiede spazi, contatti fisici con il figlio e Rebecca lo tiene continuamente con sé, stretto a sé, legato da un filo invisibile ma impossibile da spezzare. Sulla barca tutto è programmato, calcolato, ogni singolo gesto segue una rigida disposizione geometrica, un rituale freddo che annulla qualsiasi parvenza di umanità. Impossibile sfuggire ai rigidi protocolli. L’opulenza regna sovrana ma è una ricchezza che puzza di morte e che si contrappone alla vitalità languida e disperata di Naomi. Lei cerca in ogni modo di sovvertire le regole, di affermare la libertà attraverso appunto i gesti. Una colazione sul ponte invece che nella tavola sin troppo riccamente imbandita. Un tuffo dall’alto della nave. Una passeggiata sulla riva. Naomi porta con sé i ricordi della sua infanzia, l’unico tesoro che ha per cercare di vincere il muro che Ken ha innalzato per escluderla. Ma in questa dimensione sospesa non c’è spazio per ciò che è stato. Non sapremo mai perché Naomi stia per perdere Ken, cosa abbia fatto perché le venga sottratto. Il futuro è una nebulosa incerta che durerà il dolore di undici anni lontani, senza possibilità di toccarsi, di vedersi, di abbracciarsi. Esiste solo qui ed ora e tutto è prezioso. Persino il labile sfiorarsi di due mani nell’acqua. Seràgnoli riduce i dialoghi al minimo indispensabile, segue invisibile l’indolenza di Naomi. Lascia che siano i corpi a parlare ed attraverso di essi costruisce il profondo tessuto emotivo di cui è permeato ogni attimo di questo piccolo gioiello. Costruisce una strategia della tensione perfetta affidandosi a pochi scarni mezzi. Costruisce lo spazio con algida geometria, crea un ordine preciso, razionale ed asfittico. Immerge i suoi attori in luoghi che trasudano di ostentata ricchezza e li fa diventare metafora dell’incomunicabilità. Il suo cinema è quanto di più lontano si possa immaginare dall’asfittico panorama italiano. Ha un respiro internazionale che ricorda innanzitutto il rigore di un Haneke, la potenza che aveva un film come “Festen” ed il rigore protestante e nordico di un autore come Per Fly. Cattura lo spettatore da subito, dalla prima inquadratura e tesse intorno ad esso una ragnatela dalla quale non si può ne si vuole scappare. Ci rende immediatamente partecipi della sua opera, ci trascina interamente sulla sua barca, ci tiene prigioniero il cuore, si impossessa di noi con una maestria registica che sono degne di un vero autore. Un autore che abbiamo avuto la fortuna di vedere sbocciare davanti ai nostri occhi emozionati.