In guerra

Un film militante, che si affida ai mezzi propri del cinema, girato come un appassionante action movie.

 

In guerra è un titolo che va interpretato in maniera letterale, sia per quanto riguarda la storia raccontata dal regista Stéphane Brizé, sia per quanto riguarda lo stile.

Laurent (Vincent Lindon) ed i suoi compagni/colleghi sono in guerra contro la propria azienda che, invece di mantenere la parola data, ha fatto carta straccia degli accordi firmati due anni prima decidendo di chiudere la fabbrica dove i nostri lavorano.

E poiché si tratta appunto di una guerra contro un sistema che sacrifica vite umane sull’altare del profitto Brizé gira il film come fosse un documentario, un reportage dal fronte dove al posto delle bombe c’è la lotta sindacale.

Macchina a mano frenetica continuamente addosso agli attori il film procede per blocchi costruiti come piccole partiture, complice una colonna sonora che si adatta alla perfezione alle immagini, in cui la tensione sale continuamente sempre sul punto di esplodere.

Brizé con il suo film dimostra plasticamente la differenza che corre tra dimostrare e mostrare.

Non ci sono tesi da esporre al pubblico, sebbene la posizione politica del regista sia evidente, sono le immagini, il montaggio, la musica, il lavoro sugli spazi, sul corpo degli attori e sui rapporti tra di essi a veicolare il senso del film.

Le immagini insomma, se le si sa trattare, parlano da sole.

È incredibile come un film in cui si parla tantissimo, costituito in gran parte da incontri tra i lavoratori e tra i sindacalisti e l’azienda, sia così avvincente.

Che si abbia a che fare con occupazioni, picchetti o incontri sindacali tutto nel lavoro di Brizé ha il ritmo di un appassionante film action che lascia continuamente senza fiato.

Merito, come già detto, di come il regista riprende le scene, della scelta di musiche elettroniche che sottolineano la crescente tensione, della sua capacità di calare fisicamente lo spettatore nella scena grazie a quella sua macchina a mano che si muove vorticosa in spazi sempre più angusti pieni di corpi e di volti.

Grazie anche ad un lavoro sul linguaggio (abbiamo avuto la fortuna di vedere il film in versione originale) l’autore riesce, con pochissimi tratti, a rendere tutta la complessità psicologica dei vari protagonisti senza che, praticamente, si sappia nulla o quasi della loro vita al di là della fabbrica.

In guerra è un film straordinario. Andrebbe fatto vedere a chiunque voglia ancora fare cinema militante affinché impari ad usare i mezzi propri del cinema per farlo.

Ed andrebbe proiettato nei luoghi di lavoro per ricordare a tutti, lavoratori e delegati, cosa significhi l’attività e la lotta sindacale.

L’unico problema di quest’opera straordinaria è che non riesce a mantenersi tale sino alla fine.

Inevitabilmente, quando la vicenda sta per concludersi, Brizé sembra perdere il filo ed il ritmo. Per fortuna si riprende splendidamente con quello che avrebbe dovuto essere, secondo noi, il vero finale del film.

Una sequenza perfetta in cui Laurent abbandona la fabbrica, ripreso di spalle il nostro eroe se ne va via, tutto intorno a lui è fuori fuoco e non c’è nessuna voce a salutarlo.

Ancora una volta Brizé riesce a rendere un concetto con i mezzi propri del cinema riuscendo a trasmettere alla perfezione l’idea di sconfitta e di solitudine che accompagna il protagonista principale.

Proprio per questo le due sequenze successive, che in tutto non occuperanno neanche un minuto, lasciano completamente sgomenti e basiti.

In pochi secondi il regista riesce a mandare tutto all’aria. Ciò che mostra (non diremo ovviamente di cosa si tratta) non ha nessun senso, non aggiunge nulla a quanto narrato.

Anzi ciò che accade, non solo rimette in discussione quanto visto sino a quel momento e persino lo stesso personaggio di Laurent ma lascia spazio ad una debole luce di speranza in un film che, sino a quel momento, aveva saputo narrare benissimo la contemporaneità ed il senso di sconfitta.

Saremmo quasi tentati di consigliarvi, se il film resisterà nelle sale, di alzarvi qualche secondo prima del suo finale. Potrete così dire di aver visto un film meraviglioso.



 

EMILIANO BAGLIO