Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza). Regia: Alejandro Gonzáles Iñárritu
Riggan Thompson (Michael Keaton) è un attore oramai in declino la cui fama residua è dovuta ad una serie di film interpretati anni prima nei quali indossava la maschera di Birdman, un supereroe alato. Nell’estremo tentativo di darsi un tono, ma soprattutto di alimentare il suo ego, l’ex divo cerca di portare in scena a teatro una sua personale riduzione del grande libro di Raymond Carver “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”.
Inutile girarci intorno, la trama di Birdman è tutta qui in queste poche righe. Certo accanto a Riggan ruotano una serie di figure. La figlia Sam (Emma Stone) reduce dalla riabilitazione per problemi di droga, Laura (Andrea Riseborough) la nuova compagna di Riggan, l’attrice Lesley (Naomi Watts) ed il suo compagno Mike Shiner (Edward Norton) anch’egli attore, tanto bravo quanto stronzo, chiamato a sostituire un altro interprete all’ultimo momento. Completano il quadro Sylvia (Amy Ryan) l’ex moglie di Riggan ed il produttore dello spettacolo Jake (Zach Galifianakis). Più che di personaggi secondari si tratta di stereotipi pieni di cliché che danno vita ad un film pieno di luoghi comuni, battute degne di soap opera e situazioni talmente banali che si intuiscono dieci minuti prima che accadano come nel caso del bacio tra Lesley e Laura. Si dirà che la storia non è la preoccupazione principale di Iñárritu il quale probabilmente voleva compiere un viaggio all’interno della psiche di Riggan e del suo ego smisurato. Intenzioni che rimangono anch’esse sulla carta perché il risultato finale è l’ennesimo ritratto visto e rivisto dell’attore fallito che si crede chissà chi. Piuttosto quella che emerge è la mania di grandezza del regista stesso che evidentemente è convinto di essere un genio del cinema. Birdman è un film costruito apposta per solleticare il narcisismo degli intellettuali newyorkesi e per compiacere un pubblico pseudo colto, egocentrico e che si crede culturalmente superiore. Questo non vuol dire che se vi è piaciuto il film anche voi siate così, probabilmente siete stati solo abilmente ingannati. Comunque sia in questo noioso e supponente lungometraggio c’è tutto quello che serve per piacere a quel tipo di spettatori. Innanzitutto la contrapposizione tra il teatro di Broadway, ultimo rifugio degli intellettuali, con tanto di chiamata in causa di Raymond Carver che fa tanto fighetto ed i film di supereroi. Questi ultimi vengono additati come la causa di tutti i mali, come una paccottiglia data in pasto alle masse per tenere a freno i loro peggiori istinti. Insomma i film di supereroi come il segno della decadenza del cinema americano al mercato e come la fine di ogni speranza per l’arte. Iñárritu deve essere uno di quelli che ancora divide il cinema e la cultura in serie A e B, da una parte c’è lui, il grande cineasta, dall’altra la massa incolta alla quale, orrore supremo, piacciono i supereroi, magari pure i fumetti o il cinema di genere, robaccia pura per chi, come il cineasta di origini messicane, ci guarda dall’alto del piedistallo che si è costruito da sé. Sembra incredibile che una simile roba, profondamente reazionaria e classista, possa aver mietuto tanti consensi eppure Birdman è stato salutato da più parti come un capolavoro e corre verso l’inevitabile incetta di Oscar. Qualcuno, solo per il fatto che Riggan è interpretato da Keaton e per gli ovvi riferimenti ai due primi Batman ha pure parlato di meta cinema, probabilmente ignorando il significato della parola. Per fortuna non tutti sono caduti nella trappola e qualcuno ha osato dire che Birdman è un film di rara bruttezza. Gli altri sono caduti tutti nel tranello abilmente costruito da Iñárritu il quale, per darsi un tono ha costruito il film come un unico (falso) piano sequenza. Il piano sequenza consiste nel girare una scena in continuità, senza tagli di montaggio, senza insomma staccare mai la macchina da presa e dando vita ad un’unica inquadratura. Questa decisione viene seguita dal regista per quasi tutta la pellicola salvo che nell’ultima parte. Ovviamente si tratta di un trucco, visto che è praticamente impossibile girare più di un’ora e quaranta di film in continuità, ma il problema è facilmente risolvibile al giorno d’oggi grazie alle meraviglie del digitale. L’altra intuizione con la quale il regista ha fregato il pubblico ed è riuscito a spacciare la sua sbobba per arte consiste nel finale del film, nel quale il nostro dopo un paio di immagini che vorrebbero essere suggestive (comete, meduse ed altre amenità oramai sdoganate per sempre dal cineasta Terrence Malick) chiude Birdman con un’ultima enigmatica scena fatta apposta affinché il pubblico si chieda che fine fa Riggan. Mezzucci utili a chi non ha la minima idea di cosa sia il cinema e si rifugia nell’esasperazione della tecnica sperando che questa possa nascondere l’evidente totale mancanza di idee. Neanche la tanto esaltata bravura di un simile cast ci sembra che corrisponda a verità, poiché i personaggi sono talmente stereotipati che non c’è neanche un’interpretazione che valga la pena ricordare anche se, siamo sicuri, qualche Oscar arriverà, magari proprio a Michael Keaton. Per non parlare poi del fatto che bisognerebbe sempre chiedere a chi esalta le virtù attoriali se ha visto il film doppiato o nella versione originale sottotitolata (come cerca sempre di fare chi scrive). Comunque vogliamo essere buoni e dunque salviamo la strepitosa colonna sonora fatta di sola batteria che è l’unica cosa decente in Birdman. Per il resto invitiamo tutti a vedere o rivedere Nodo alla gola di Alfred Hitchcock anch’esso girato con un unico (falso) piano sequenza. Balzerà evidente agli occhi la differenza tra essere un genio del cinema che sa come si gira un capolavoro ed essere Alejandro Gonzáles Iñárritu.
EMILIANO BAGLIO