L'allucinazione d'amore

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Serebrennikov ci fa capire sin dal prologo che quello che stiamo per vedere è  una proiezione mentale, una follia d'amore o addirittura un'allucinazione alla ricerca di libertà. Spettatore avvisato spettatore attenzionato. 

Nella prima ora poi però sembra rimangiarsi tutto, ci fa scordare l'incipit, e ci racconta la storia sì particolare di una donna che corteggia un uomo, ma con uno stile classico e proprio del film in costume. Il racconto si fa lineare e realistico accompagnato da una sontuosa messa in scena. 

La moglie di Tchaichovsky però si invola nella seconda parte quando le scelte di un matrimonio sbagliato iniziano a mordere la carne e la mente dei protagonisti. Il musicista sparisce di scena e la moglie diventa protagonista di un'ossessione, incapace di accettare un fallimento in realtà annunciato, ma mai veramente creduto. 

E qui lo stile di Serebrennikov diventa infuocato,  i carrelli e i piani sequenza si sposano ad una fotografia gelida. Realtà e immaginazione si fondono senza soluzione di continuità in una discesa agli inferi sempre più senza soluzione di continuità. La cinepresa mostra l'incubo che nessuno può vedere tra simboli e scene impossibili. 

La moglie di Tchaichovsky è indubbiamente grande cinema, probabilmente metafora politica dell'infatuazione cieca, quella che può provare un popolo per il suo zar, ma anche messaggio di libertà per la condizione femminile. Forse non per tutti i palati e lontano anni luce da quello che il biopic a cui la televisione ci ha abituato, ma un'opera che entra sottopelle. Tutto questo senza scordare la magnifica interpretazione della protagonista.