Mario Martone è uno dei principali registi italiani, viene invitato nei più importanti festival internazionali nonostante il suo cinema sia profondamente italiano, se non regionale, e 
sicuramente non facilmente esportabilile (vedasi Noi Credevamo o Qui rido io). 

Con Nostalgia cerca di raccontare uno stato d'animo sin dalla scelta del titolo. Raccontando la storia di un uomo che torna dopo quarant'anni nella sua città natia, Martone cerca di creare un mood in cui la realtà è i ricordi si mescolano senza soluzione di continuità, ma con le persone che sono inevitabilmente cambiate a causa dell'ambiente e delle esperienze. 

Formato cinematografico diverso, più compatto, per i ricordi, come se in qualche modo la memoria ne offuscasse la veridicità, ne edulcorasse il contenuto per una difficile messa a fuoco. Perché Nostalgia è un film cupo, con un protagonista che si aggira silenzioso tra i vicoli bui del Rione Sanità di Napoli, uno dei più pericolosi, più o meno consciamente alla ricerca del suo alterego, della sua nemesi. 

C'è tanto, forse addirittura troppo in quest'opera, con una parte iniziale bellissima in cui Martone ci regala una toccante scena tra un figlio e una madre, una sorta di Pietà a caratteri invertiti in una fotografia asciutta ed essenziale. Toccante. C'è la camorra, c'è il rapporto con la fede e la Chiesa, c'è la ricerca delle proprie radici nonostante tutto, c'è la gioventù e l'età matura.

Passato in concorso a Cannes dove però non ha raccolto nulla Nostalgia è un buon film che però paga due punti essenziali: l'inevitabilità dello sviluppo della trama (che lo rende purtroppo sfacciatamente prevedibile) e l'eccessiva freddezza dello stile di Martone. Probabilmente è un problema di chi scrive, ma lo stile del regista napoletano mi è sempre sembrato poco coinvolgente. Un film comunque da vedere.