Quando Hollywood rischia

Da alcuni anni è diventato evidente che Hollywood ha soli 2 autori tra i registi di blockbuster: Christopher Nolan (in realta battente bandiera inglese) e Denis Villeneuve (in realtà canadese). Sono gli unici due che osano e rischiano con film ad altissimo budget riuscendo a restare fedeli alla loro poetica.

Villeneuve ha iniziato questa strada con Arrival, opera che gli valse anche diverse nomination all'Oscar e che segna la sua poetica spettacolare capace di trasformare le sue ultime opere in vere e proprie esperienze sensoriali.

Dune è infatti immagine e suono, a voler esagerare un musical fantascientico in cui i dialoghi sono il contorno della potenza delle inquadrature, mai banali, e delle sonorità, sempre originali. Perché il cinema di Villeneuve parte dallo stupore visivo (design degli interni, costumi futuristici, fotografia che viaggia su diversi monocromatismi) e passa per la sorpresa sonora sempre presente ad evidenziare il momento, creando una sontuosita unica nell'attuale panorama cinematografico. L'afflato epico che Villeneuve crea rende sopportabili, anzi addirittura necessarie, certe scene al rallentatore che in altri casi odieremmo.

Certo Dune non è perfetto. Si basa su un romanzo-pilastro della fantascienza moderna, ma che tornato sul grande schermo ora sembra essere il derivato e non l'ispiratore di tanto cinema. In più il raccontare solo la prima metà del primo volume della saga non permette alla trama di involarsi. Manca parte del coinvolgimento del pubblico che solo sul finale capisce che quest'opera da sola fatica a stare in piedi e non assisterà ad una chiusura.

Sicuramente è quanto di meglio si possa chiedere oggi al cinema d'intrattenimento hollywoodiano. Probabilmente, se i produttori avessero girato i due film insieme e sin dall'uscita di questa prima parte fosse stato più chiaro che si trattava di una saga, tutti ne avrebbero trovato giovamento