Il cinema di Besson è sempre più  postmoderno ed iconoclasta, e con Dogman queste sue caratteristiche vengono portate all'estremo. 

Partendo da un canovaccio classico in cui il protagonista viene vessato ed è costretto alla ricerca di nuovi affetti Dogman approda alla figura dell'antieroe fuori da ogni schema ed ogni possibilità di integrazione con la società moderna. 

Con una sceneggiatura così prevedibile il film fatica a trovare una sua strada. La regia di Besson fredda e schematica stilizza al massimo il racconto ma rende accettabile la sospensione di incredulità necessaria per la visione del film. Il gioco iconoclasta passa da una Marilyn Monroe sanguinante in mezzo ad una sparatoria per approdare ad una figura cristologica perdente (si può accostare alla sua Giovanna d'arco?) 

Bravo il protagonista Landry Jones anche se, come tutto il film del resto, sembra spesso scimmiottare il Joker di Phoenix/Phillips. Sicuramente più intenso en travesti che nei dialoghi con la psicologa comunque. 

Passato in concorso all'ultimo Festival di Venezia resta un film più spettacolare che d'essai non perché  Besson non sia un autore, ma perché chiaramente Dogman strizza maggiormente l'occhio al botteghino e all'iperbole piuttosto che alla riflessione.