Solitudine metropolitana

È un oggetto strano questo Estranei di Andrew Haigh. Un'opera che non ha paura di parlare di dolore, di solitudine e di incomprensione è molto rara soprattutto se non si cerca la lacrima a tutti i costi e ad ogni scena, ma si ha la forza di costruirla con la sceneggiatura poco per volta in un crescendo di emozioni. 

Parte come un thriller dell'anima con la paura della solitudine a fare da apripista. La solitudine moderna delle metropoli e dei palazzoni. Quella che attanaglia e porta alla depressione e alla tristezza. 

Poi iniza un racconto queer che viaggia tra passato e presente, tra silenzi e prese di coscienza in ambientazioni vintage. Un nuovo thriller in cui è l'accettazione e la ricerca di conferme a farla da protagonista. Solo a questo puntoscopre le carte fantasy e prende le distanze dal realismo e confonde le acque. 

Alla fine il tutto resta molto impalpabile e rarefatto. La trama spiccia si riduce in pratica a due scene e passato l'abbaglio della scena finale e quello della musica avvolgente resta poco. 

Restano due interpretazioni strepitose a partire dal protagonista, Andrew Scott, che regala al suo personaggio un cuore e anima. Paul Mescal, invece riesce a tratteggiare il personaggio più provocante, la fantasia, lo spettro senza strafare. Tutto questo non basta a fare un film memorabile, ma un film da vedere in cui perdersi per un po' di tempo, perché  per apprezzarlo bisogna lasciarsi andare.