Recensione di   Beatrice Bianchini Beatrice Bianchini

Holy Spider

(Film, 2022)

La paranoia del peccato


Dei mali della vita ci si consola con la morte, e della morte con i mali della vita. Una gradevole situazione.
(A.         Schopenhauer)
 
Ispirato alla storia vera di Saeed Hanaei, serial killer iraniano noto come Said Hanai.
Una serie di omicidi iniziò nel 2000 e finì nel 2001; la zona colpita fu la città sacra di Mashhad, a circa 1000 km da Teheran, sede di un importante santuario sciita,  meta di un fiorente pellegrinaggio religioso.
Le vittime erano prostitute che il killer prelevava per strada con il suo scooter e portava in casa sua mentre la sua famiglia era assente per la preghiera; le stringeva al collo con il loro foulard strangolandole.
Scaricava i corpi ai bordi delle strade o nelle fogne avvolti nel loro chador. La stampa li definì “gli Spider Murders”, in quanto il killer attirava le donne come i ragni con le prede.
Hanaei sembrava insospettabile: aveva 39 anni era un semplice operaio edile, molto devoto alla sua religione, sposato con prole.
Le prostitute per lui erano “esseri peccaminosi, corrotti moralmente e che corrompevano, uno spreco di sangue” e quindi doveva ripulire la città. La sua era “una crociata personale per amore di Dio e per la tutela della religione”.
Il regista ha deciso di raccontare questa storia senza calcare la mano; mentre il vero killer stuprava le donne prima di strangolarle, Abbasi trascura questo feroce particolare: tuttavia non esita ad inquadrare i violenti omicidi, già dalla prima scena del film.
Accompagna la finzione con la partecipazione di una giornalista che decide di mettersi sulle tracce dell’omicida, trascurato dalle indagini ufficiali, in quanto vuole mettere a fuoco, riuscendoci perfettamente, la cultura che vige nel paese. Alcuni gruppi fondamentalisti e militanti islamici consideravano infatti il killer come “un eroe che difende la città da una piaga sociale crescente”; anche il figlio Alì, che aveva all’epoca 14 anni, disse che se il padre fosse morto sarebbe stato sostituito da altri killer, e lui provandone orgoglio avrebbe anche potuto continuare l’operazione del padre.
Indimenticabile la scena nella quale il ragazzino mima le azioni del genitore durante gli omicidi,   quasi volesse ricostruire un tutorial per la memoria delle future generazioni.
Il regista iraniano, naturalizzato danese, costruisce il secondo piccolo gioiello dopo l’indimenticabile Border del 2018, già premiato a Cannes.
Anche qui il tema della colpa, della scelta etica delle creature di confine, ricompare sulla scena, in concorso al 75° festival della costa azzurra.
Un ritratto impietoso, costruito attraverso interpretazioni impeccabili, riflette una società dove il pensiero comune è quello di chi giudica ma soprattutto condanna impropriamente in nome e per mano di Dio.
Un film sporco, netto, terribilmente violento, impietoso, tuttavia ipnotico: le prostitute sono il capo espiatorio di una visione che separa con la sciabola il bene dal male, il buono e il cattivo, il giusto e l’ingiusto, il peccato dalla espiazione.
Le femmine fonte di male vanno eliminate e non i loro clienti, brutali stupratori e assassini, eppur considerati vittime se non addirittura eroi.
Sul motivo e sul contesto si concentra Abbasi e lo fa con uno sguardo impietoso seppur indulgente senza mai perdere tuttavia il focus della narrazione che si concentra sulla misteriosa e confusa malvagità completamente al servizio della “purificazione”.
Nel titolo si racchiude il concetto, il concentrato, l’estratto del film: quel “santo” (Holy)  non è lo spirito, la terza persona della SS Trinità bensì l’assassino soprannominato Spider che si immola alla causa della devozione e della dedizione in quanto correlato alla divinità: un “santo assassino” insomma che nella sua paranoia si appella e di “dedica a Dio”.
Passato inspiegabilmente in sordina soprattutto per l’attualità dei temi che riguardano la realtà iraniana tormentata ancora, maggiormente oggi, dalla cultura machista islamica e non solo,   colpisce in modo netto, diretto, aprendo  un inevitabile  spazio di riflessione.
 
Nessuno sceglie un male capendo che è un male, ma ne resta intrappolato se, per sbaglio, lo considera un bene rispetto a un male maggiore.
(Epicuro)