The Zone of Interest tratta l'orrore dell'olocausto non mostrandolo direttamente, l'orrore è continuamente percepito dallo spettatore tramite i dettagli, ciò che accade sullo sfondo delle inquadrature.
E' perciò un film sui muri che ci costruiamo per non vedere l'orrore, tutto ciò mostrando la famiglia Hoss che vive alle soglie di Auschwitz; Glazer mostra la quotidianità della famiglia e ciò rende tutto il discorso del regista, la percezione dell'orrore molto potente, perchè appunto la famiglia vive pensando a tutt'altro, alla loro quotidianità nonostante ciò che accade al di la del muro.
Glazer già da subito da forza al film, il titolo in bianco su sfondo nero appare sfocato, questa sfocatura che si protrae verso l'alto anticipa i fumi, quindi gli orrori, che provengono dal campo; anche la prolungata inquadratura in nero suggerisce l'ingresso verso l'oscurità, verso l'incubo.
La regia è molto elegante, la costruzione delle inquadratura ottima, di fatto c'è proprio una ricerca meticolosa nel mostrate la tenuta degli Hoss perfetta, si da sempre molto spazio all'ambiente, al giardino, ai fiori.

La profondità di campo è notevole e ciò da molta espressione alle inquadrature, anche le coreografie dunque dei personaggi che si muovono in scena sono curatissime.
Da notare come le inquadrature non sono pienamente “centrate”, anche qui Glazer pone un gioco di falsare la prospettiva, la quotidianità nella tenuta, il bel giardino, lo status elevato della famiglia ma le inquadrature non danno comfort, tutt'altro.
La scelta di dare un forte spazio all'ambiente oltre ad enfatizzare gli scenari da anche infatti una sensazione di estraneità e di isolamento specialmente per Rudolf, il direttore di Auschwitz.

Il terrore e l'inquietudine sono dati proprio dai dettagli, il fumo nero che esce dalla ciminiera del campo, i treni che passano sullo sfondo, Glazer non mostra direttamente l'orrore ma questi dettagli parlano chiarissimo e perciò risultano ancora più incisivi e terrificanti.
Questo anche perchè contrasta con lo stile, con la bellezza delle inquadrature, le scene mostrate da Glazer sono una gioia per gli occhi ma al tempo stesso hanno un significato atroce.

Il discorso incentrato da Glazer funziona anche perchè la famiglia è mostrata nei loro atti quotidiani, il cane che segue di continuo Hedwig, la moglie di di Rudolf, sempre quest'ultima che prova il vestito, insomma atti di quotidianità.
La famiglia ha anche i suoi problemi interni, Rudolf e Hedwig dormono su letti separati ed anche per questo su Rudolf le scelte estetiche nel mostrarlo tra gli ampi scenari lo fanno apparire isolato.
La stessa Hedwig vuole rimanere ad Auschwitz, vuole mantenere il suo status sociale, tutto ciò è terrificante, l'accettare, la voglia di vivere alle soglie del campo perchè offre garanzie, Glazer mostra come durante il bucato, mentre il figlio gioca, si sentono gli spari, arrivano anche le inquietanti ceneri; ma la famiglia non fa mai menzione di ciò che accade.

Rudolf è un funzionario di partito, esegue gli ordini, il film non lo mostra come un esaltato; è cinico, freddo, avalla, è consapevole delle azioi più indescrivibili e riprovevoli e la tranquillità delle sue azioni, la disinvoltura ancora una volta servono al discorso general che Glazer fa.
Se è vero che il regista non lascia spazio all'empatia sono significative le scene dove una ragazzina polacca porta delle mele ai deportati e non a caso Glazer opta per il bianco e nero in queste scene, la costruzione dei quadri magnifici con le tonalità di colore, l'ampio utilizzo del verde sanno in realtà di atroce e malvagio, mentre l'atto caritatevole della ragazzina è in bianco e nero.
Altro momento cinematograficamente d'impatto è quando dal fiore, dalla rosa l'inquadratura diventa totalmente rossa a richiamare proprio il sangue e ciò che accade oltre il muro.
Ancora, la madre di Hedwig che chiude le finestre quando i fumi si fanno troppo intensi con l'inquadratura in esterno che vagamente ricorda il finale di Under the Skin dove le ceneri dell'alieno cadevano sul terreno mentre in The Zone of Interest Glazer opta per il bianco e nero mostrando le ceneri andare sul bucato.

Di momenti forti, scene, sequenze grandiose ce ne sono molte, Glazer a livello di potenza visiva compie un lavoro enorme.

Rudolf verrà in seguito spostato da Auschwitz ed anche qui il film mostra come lui sia un funzionario, uno che se esegue gli ordini senza far trapelare chissà quali emozioni.
Durante la riunione dei funzionari quando si deciderà di varare e amplificare i piano per Auschwitz con più deportati e morti Glazer inquadra la stanza e soggetti dall'alto come se fossero visti e giudicati dalla storia stessa.
E' dunque altamente d'impatto nel finale quando Rudolf avrà notizia di poter tornare ad Auschwitz, dalla famiglia, la sequenza è cupissima con toni scuri, Rudolf che scende le scale sembra proprio una discesa verso l'inferno, un puntino bianco, di luce appare sulla porta qui c'è uno stacco nel presente e per la prima volta vengono mostrati gli interni del campo di concentramento mentre le operatrici del luogo puliscono e lavorano il luogo; forse Glazer vuole dire che il mantenimento della memoria spetta a noi, alle nuove generazioni.

A livello filmico ciò può anche rappresentare una visione di Rudolf ed infatti avrà un rigurgito, qui potenzialmente ci si può ricollegare al rigurgito della Johansson in Under the Skin con la fetta di torta, per la prima volta forse Rudolf ha consapevolezza di cosa accade ma storicamente si sa come è andata, la discesa agli inferi di Rudolf è in atto quindi forse è solo il suo corpo che rigetta tali azioni ma la sua mente continua ad essere proiettata verso l'orrore.
Sul conflitto morale è anche interessante la scena dove Rudolf accarezza il cane, gesto visto come “buono”, compiuto però dal direttore di Auschwitz.
Film dunque costruito magnificamente, l'orrore sullo sfondo che contrasta la perfezione delle inquadrature, la quotidianità della famiglia Hoss tra le loro azioni e momenti familiari anche difficili dove oltre al muro c'è l'inferno; perciò la perfezione degli esterni, del giardino che forse più che ad un Eden raffigurato, per rimanere in termini ebraici, raffigura la Gehenna.