Ottimo esordio alla regia per Carlo Mirabella-Davis che mette in scena un film con una grande forma sempre in linea con la narrazione.
La protagonista Hunter è sposata e vive in questa casa borghese ma da subito grazie a delle inquadrature dove la protagonista è sempre dominata dal quadro,comprendiamo che c'è qualcosa di distopico,non è mai a suo agio ed anche con il marito il rapporto è distante e ciò è sempre evidanziato da inquadrature con barriere e con grandi spazi tra i due.
Di fatti la scenografia è simile a quella di una casa delle bambole o di annunci pubblicitari,una casa perfetta dove l'individuo(Hunter) è sempre dominato e questo alimenta una certa tensione nello spettatore,un po come in Rosemary's Baby di Polanski.
Molto interessante anche la malattia del picacismo(mangiare oggetti) che in realtà è l'unico momento in cui la protagonista riesce ad essere felice.Ciò è molto funzionale anche per il come ci si arriva,Hunter è isolata,oppressa e perciò trova in questo "disturbo" la sua evasione.
Progredendo quando Hunter inizierà a credere maggiormente in se stessa cambiera anche la regia del film che andrà di più sui primi piani proprio per rimarcare il concetto e usera molta camera a mano per dare quella sensazione di quotidiniatà e non più di spaesatezza.
Dunque un film che parla di solitudine ma anche dei problemi del passato e di come affrontarli.
Ottima prova del regista che dimostra di avere mano e buon gusto per la messa in scena sempre al servizio della narazzione e dello sviluppo del film.