Last reviews by Film(amo) Lovers

Vapore negli occhi

Hung torna alla ribalta internazionale dopo che in gioventù aveva firmato Il profumo della papaya verde e Cyclo, ammirati e premiati in diversi festival. Con Il gusto delle cose decide di raccontare la quotidianità dell'amore e il suo manifestarsi nei piccoli gesti, senza urla o ostentazioni. Lo fa con una regia sontuosa che accompagna i protagonisti in una sorta di danza culinaria opulenta. La macchina da presa segue i protagonisti, li culla suggerendo i loro sentimenti tra la preparazione di un pasto e l'altro. Nella cucina si consuma la storia di una vita, di un affetto. Hung ci porta nel bel mezzo della cucina tra ingredienti e attrezzi antichi facendoci sentire la potenza del cibo. Allora che cosa non funziona? Purtroppo la sceneggiatura. La trama è troppo rarefatta e gli accadimenti sono pochi per le oltre due ore di durata. Tutto si perde tra una dolce e un secondo. Il vapore della cucina annebbia la vista dello spettatore che alla lunga si sente stremato. Un soggetto interessante che però sembra sentire della mancanza di una svolta narrativa. Benoit Magimel e Juliette Binoche (in passato coppia nella vita) confermano il loro affiatamento e riescono regalarci momenti di complicità notevoli. L'affetto deve trasparire solo dai loro gesti più che dalle parole. Purtroppo però tutto risulta molto imbalsamato in una società che in effetti poco lasciava al trasporto inatteso. Vincitore a Cannes del premio della miglior regia e rappresentante della Francia agli Oscar per il miglior film internazionale Il gusto delle cose resta un film che a forza di cibo nausea lo spettatore che rischia di fare la fine dell'oca del fois gras. La messa in scena così estetizzante alla fine sembra nascondere poco. Fumo negli occhi?

Sembra facile raggiungere la Luna ma andarsene?

Sono sempre rimasto affascinato dal cinema coreano contemporaneo e dai suoi registi più capaci: Kim Jee-Won che nel 2003 strabiliò il mondo con quel Capolavoro assoluto di “A tale of two sisters” e che nel 2010 fu autore del bellissimo “I saw the devil”;Bong Joon-ho che si mise in luce con l'eccelso “Memories of murder” del 2003, che raggiunse la notorietà mondiale nel 2013 con “Snowpiercer” e che nel 2019 arrivò laddove nessuno mai aveva, neanche lontanamente, immaginato, ossia vincere l'Oscar come miglior film con “Parasite”;Park Chan-wook che nel 2002 diresse l'ottimo “Mr. Vendetta” e l'anno seguente realizza uno dei film più belli della Storia del Cinema, quel “Oldboy” la cui sceneggiatura viene, tutt'ora, studiata ed analizzata nelle scuole di cinema mentre nel 2005 con “Lady Vendetta” chiude la "Trilogia della Vendetta" che grande notorietà gli aveva procurato e non ancora sazio dirigerà due pellicole come “Stoker” del 2013 e “Mademoiselle” del 2016 di altissimo livello artistico;Na Hong-Jin con il sorprendente esordio di “The Chaser” del 2008 seguito dallo strepitoso “Goksung” del 2016;Yeon Sang-ho autore del più bel film sugli zombie di sempre, quel “Train to Busan” del 2016 che rimarrà una gemma straordinaria e del “Psychokinesis” del 2018 che denota la sua capacità di confrontarsi con i comic movies;Kim ki-duk, il papà artistico dei suddetti registi, il maestro che incarnò lo spirito cinematografico coreano.Anche questo “The Moon” è opera di un regista coreano, Yong-hwa Kim, un cineasta che personalmente sconoscevo fino ad oggi e che con questo film inizia ad affacciarsi alla ribalta internazionale. Interpretato interamente da attori coreani, la pellicola descrive i tentativi della Corea del Sud di riuscire a portare un proprio equipaggio ad atterrare sul nostro satellite.Il primo lancio, sebbene il governo sia molto fiducioso, si rivela una catastrofe: dopo qualche decina di secondi dal lancio

La Musica può salvare il mondo? Sicuramente qualche Anima...

C’è un linguaggio che unisce tutti noi bipedi che brancoliamo su questo pianetino che galleggia nella Via Lattea: la musica.La musica ci consola, ci fa innamorare, ci gasa, ci fa scodinzolare mentre cuciniamo, fa riemergere persone, luoghi, profumi che sono parte di noi.La musica ha un’anima, come questo film.Dan e Gretta, i due protagonisti (un ottimo Mark Ruffalo e una deliziosa Keira Knightley) infondono alla pellicola l’energia che scorre carsica e poi in alcuni momenti esonda e ci travolge facendoci amare personaggi così semplicemente umani ma disperatamente innamorati della Vita.Come si fa a non amare Dan Mulligan? Un Mark Ruffalo stropicciato, adorabile mascalzone dal cuore d’oro che si barcamena tra un lavoro di ex produttore di successo che lo sta emarginando con una famiglia sfasciata alle spalle e una figlia adorata da riavvicinare.E cosa dire di Gretta, “cornuta e mazziata”? Keira Knightely con quel suo broncio da pulcino bagnato che pian piano torna ad essere una donna che sa cosa vuole (e soprattutto cosa NON vuole) e che con Dan… Chissà.Ed ecco quindi l’incontro di anime vulnerabili, due cuori con ferite ancora dolenti dove lui intuisce il talento di lei e, dopo averla ascoltata suonare una sua canzone, le propone di produrle un cd (si, il film ha qualche anno… ora pubblicherebbero il brano su Spotify).“Lo facciamo o no?” Ovvio che si farà (e sarà un successo), l’autrice che che ha perduto la fiducia in se stessa prodotta dal fantasma del produttore di successo.Io (chi scrive) come si dice “c’ho una certa…” e quando ero adolescente facevamo le “cassettine”: musicassette da 60 o 90 minuti dove si registravano quelle che oggi chiamiamo ‘Playlist’ e le regalavamo a chi ci faceva battere più forte il cuore e che, oggi come allora, era una specie di Diario dove le musiche e le

La Cina tra passato e presente

“Il ventaglio segreto”, diretto da Wayne Wang, è tratto da un romanzo di Lisa See, Fiore di Neve e il ventaglio segreto. Sebbene sia il regista che l’originaria autrice del romanzo siano di origine e di fatto più americani che cinesi, il film è stato realizzato completamente in Cina, con l’evidente assenso delle autorità locali. Questo particolare, sovente trascurato da altre recensioni che ho consultato, è importante per capire meglio il senso dell’operazione.E’ successo infatti che il regista abbia aggiunto alla storia originale del romanzo un’altra storia, ambientata nella Cina contemporanea.La storia del romanzo parla di Fiore di Neve e di Giglio Bianco, è ambientata nella Cina rurale dell’ottocento, quando ancora le bambine di cui si voleva favorire l’avanzata sociale erano assoggettate alla fasciatura dei piedi in modo che questi restassero piccoli, il che era inteso come segno di distinzione. Non certo di avanzamento sociale però, a meno che a un certo punto restassero vedove dopo aver sposato un uomo ricco: fino a quel punto erano di fatto sottomesse alla famiglia di origine o al marito.La storia aggiunta al film, di Nina e Sofia, è ambientata invece nella Shanghai attuale, e chi è stato in questa città vi ritroverà più di una volta le immagini dei grattacieli con la famosa torre della televisione, che si vedono dal Bund, il lungofiume caratterizzato dagli edifici coloniali di tardo ottocento e successivi, dove gli europei avevano il loro quartiere di affari e commerci. Dal centro della città il lungo fiume si raggiunge facilmente a piedi attraverso la via Nanjing Lu, e tutti coloro che per motivi di lavoro, commercio e turismo raggiungono per la prima volta la cità, sono invitati a questo percorso, anch’esso corredato da grattacieli di forme sempre spettacolari. Lì ci si rende conto, anche più che a Pechino, del balzo

The Coffee Table

Film concettualmente hitchcockiano in quanto lo spettatore conosce più dettagli dei personaggi in scena.Dark comedy che gioca molto sui dialoghi creando situazioni da black humor.La coppia Cristina e Jesus inizia il film mentre litigano per l'acquisto di un tavolino che sarà cardine per il punto di svolta del film, la morte del figlio che Jesus dovrà poi nascondere alla moglie creando situazioni da black comedy con rimandi, sfottò al tavolo rotto e il seguente arrivo dei parenti.La scena della morte del figlio è ben gestita, è fuori scampo, c'è un lento movimento di macchina e si sente il crash del tavolo.La regia di Casas opta spesso per la camera a mano destabilizzante e cerca di inquadrare spesso le reazioni di Jesus, il suo impallidire di fronte ai discorsi, alle battute della moglie e dunque allo smarrimento interiore.A tratti forse può risultare un po' troppo verboso però è una black comedy che sa fare il suo giocando con la suspance hitchcockiana e mostrando tocchi macabri con ilarità.

Godzilla e Kong - Il nuovo impero

Come capitolo è meglio del precedente, non c'è tutta quella parte con la multinazionale gestita male e in modo alquanto infantile, così come non c'è il classico villain umano generico.Però, Wingard si conferma non avere minimamente senso dell'epica, non sa dare una mitologia, una forza ai kaiju e alla lore che crea.Questo sia per i tempi che il regista dimostra proprio di non avere, non c'è respiro, è tutto veloce, anche l'introduzione dei Kaiju, compresi quelli nuovi non hanno enfasi, non c'è intensità e in generale manca proprio un certo occhio, il saper costruire inquadrature iconiche. Anche quando ci prova, quando dunque si va di campi lunghi mostrando l'insieme, il totale dello scenario o il momento da colpo d'occhio, la resa finale non è mai memorabile e sembra non crederci nemmeno lo stesso Wingard in quanto questi momenti sono iper fugaci.Dunque la messa in scena risulta standard, è un film che l'avessero diretto i Russo o Col-Serra non credo ci sarebbero state chissà quali differenze e questo è un male.L'ingresso in scena di Skar King è troppo piatto specialmente perchè si parla del main villain, ripeto, non c'è potenza visiva, così come poi non c'è neanche il dramma nelle comparte umana.Il momento cardine di Jia ad esempio non ha nessuna presa di coscienza, non ha arco narrativo, compie semplicemente il gesto senza nemmeno che la regia costruisca un momento espressivo attorno.La tribù degli Iwi lo stesso, non ci si ferma per comprendere come funzioni la tribù, per esplorarla, far interagire qualche personaggio, è sempre tutto veloce.Personalmente adoro i film dell'era Showa quindi certo che un film su Godzilla non debba per forza essere serio come il recente Minus One, gioca tutto un altro campionato rispetto al film di Wingard, ma i film Showa erano il trionfo dell'artigianato, Godzilla, i kaiju

Duello al sole

Due film diversi: questo è Challengers che per 2 ore ci ammorba con le turbe sentimentali e davvero poco sessuali (al contrario di quanto voleva far credere la pubblicità), dei tre protagonisti pronti a tutto e al contrario di tutto per ingarbugliare un po' la trama e preparare la strada allo scontro finale, ovvero 25 minuti di scontro tennistico girato in modo magistrale anche se a tratti ridondante come tutto il cinema di Guadagnino. Infatti confesso di non amare Guadagnino sin dalle sue opere precedenti e questo Challengers è la summa di tutti i suoi pregi e di tutti i suoi difetti. Perché sono innegabili le capacità registiche di del regista italiano ormai in pianta stabile a Hollywood. Una tecnica ineccepibile e un punto di vista sempre personale. A volte però gigioneggia e la continua voglia di stupire gli sfugge di mano. In questo Challengers l'ultima mezz'ora è notevole: la sua regia unita al montaggio e la colonna sonora creano qualcosa che sul grande schermo non si vedeva da un po', ma resta sempre quella sensazione che avrebbe potuto fare un pochino meno. Anche perché questo tipo di regia si accompagna ad una sceneggiatura che dire ridondante è dire poco. Le prime due ore sono un concentrato di insicurezze, contraddizioni e comportamebti illogici che nell'intenzione dello sceneggiatore dovrebbero creare il substrato per l'incontro decisivo, ma che in realtà appesantiscono il tutto. In un'oretta si sarebbe potuto dire tutto e rendere più credibili gli screzi tra i protagonisti che secondo la sceneggiatura sarebbero durati anni e anni.Ne esce un film discontinuo, irritante (chissà perché quando scrivo di Guadagnino prima o dopo questo aggettivo lo uso) costruito in modo abbastanza modaiolo sulla figura di Zendaya alla continua di un continuo linguaggio cool. Probabilmente da vedere meno probabilmente da amare.

Tempo di capitalismo

Con uno stile rigoroso e attento alla forma, Schaublin delinea il controllo del tempo come fondamento del capitalismo e dello squilibrio sociale. L'asincronia presente a Berna (con quattro tempi diversi) rappresenta la manipolazione del tempo che provoca l'asincronia sociale, la progressione delle classi sociali su binari diversi a velocità diverse. Al contrario, il lavoro dell'anarchico è quello di bilanciare le diverse velocità, riequilibrando così lo squilibrio sociale. Originale e preciso.

Un uomo vero

Jeff Daniels impersona un imprenditore immobiliare apparentemente ricchissimo e “bigger than life” ma che in verità fatica a stare in piedi sia economicamente che fisicamente (la metafora del ginocchio che, da ex giocatore di football, ormai lo tradisce, è fin troppo chiara). Dall'altra parte, intrecciata a quella del magnate, viene narrata la storia di un ragazzo nero (a lui legato per essere il marito della segretaria) in attesa di giudizio e che rischia una condanna pesante per avere risposto ai metodi rudi di un poliziotto bianco e non aver patteggiato davanti all'evidente pregiudizio di un giudice (bianco anche lui). Si tratta quindi di una interessante miniserie (in sole sei puntate e autoconclusiva) sulla ricchezza, il potere, l'apparenza e i contrasti razziali (non a caso la serie è ambientata in Georgia); non un capolavoro, ma in cui si possono trovare spunti interessanti.
Giacomo Pescatore
DirectionScreenplayCostumesScenographyActing

Ripley

Un adattamento molto bello nella confezione, ben sceneggiato, diretto e recitato. La storia non aggiunge molto rispetto al film di Minghella, ma i toni sono più cupi e freddi (a partire dalla scelta del bianco e nero) ed è interessante la chiave di lettura ed il parallelo tra il protagonista e Caravaggio. La pecca principale è la durata; nel senso che la serie avrebbe potuto tranquillamente durare almeno due episodi in meno; nonostante questo la visione è consigliata (rigorosamente in lingua originale anche per apprezzare recitazione e scambi in lingue diverse).

Humanist Vampire Seeking Consenting Suicidal Person

Film d'esordio per la regista canadese Ariane Louis-Seize che dirige un film adolescenziale, un coming of age con venature da horror comedy dove si affrontano tematiche quali il suicidio, il bullismo e l'oppressione.Sasha è una vampire che non vorrebbe uccidere, le sue zanne tardano a spuntare, è vessata dalla famiglia, eccetto un po' il padre a rappresentare l'oppressione genitoriale, il voler costringere la figlia a crescere secondo dei dogmi.Paul è un ragazzo vittima di bullismo che non ha amici ed è depresso.Entrambi i personaggi hanno tendenze suicide e vorrebbero farla finita da qui il loro incontro e la futura storia tra i due.E' interessante come Ariane Louis-Seize giochi con i riferimenti sessuali tra i due personaggi. Sasha non riesce a far uscire zanne, è compassionevole e non vorrebbe uccidere, la presenza di Paul, vederlo in pericolo però funge da erezione in quanto in tali occasioni le zanne escono fuori.E' il personaggio femminile dunque a dover penetrare il partner, ribaltando la dinamica sessuale.Per sua natura quella vampiresca, il film ha uno stile e una fotografia cupa, la confezione, la messa in scena di base è di fatto buona.Per le tendenze che hanno Sasha e Paul, il loro carattere, le depressione e malinconia di fondo il ritmo del film risulta cadenzato e anche la regia opta molto per le inquadrature fisse.Ci sono overtake che funzionano come quello nella stanza di Sasha dove pian piano arriva la luce calda sullo sfondo.E' un film d'esordio dunque lo stile è da definire, sicuramente alcuni momenti magari potevano essere più ritmati e forse si poteva osare di più con la presenza di sangue e nelle dinamiche delle azzannate vampiresche.Anche altri momenti magari possono risultare un po' incerti, come quando un ragazzo al bowling andando a raccogliere i vetri del bicchiere rotto in una dinamica. Dunque si,

Exhuma

Thriller-horror coreano ben messo in scena dove Jang Jae-hyun sa creare buone inquadrature suggestive, il regista, come nei suoi precedenti film, parla di dualismi.Il film inizia con la sciamana Lee Hwa-rim che nel viaggio in aereo guarda dal finestrino irradiato dalla luce solare.Luce e oscurità, come in Priests Jang Jae-hyun inquadra le persone che passeggiano tranquillamente, in Exhuma in maniera più fugace e meno insistita, a significare la popolazione che vive tranquillamente nonostante la presenza dell'oscurità tramiti spiriti e forze sovrannaturali.Oltre a ciò, nel film è presente un discorso sul come sia la classe borghese a rivolgersi maggiormente agli sciamani o esperti di forze occulti, la classe più agiata vive la proprio lussuosa vita ma alle spalle ha il buio come a dire che la provenienza di tale ricchezza è segnata, per l'appunto, da atti oscuri e malevoli.La storia narra la formazione del team dell'occulto seguendo principalmente il geomante Kim Sang-deok e Lee Hwa-rim.Da principio il team si unisce per motivi economici, Hwa-rim viene descritta come una sciamana molto legata all'aspetto economico dei suoi clienti ed infatti nonostante gli avvertimenti ed i dubbi sul caso di San-deok, Hwa-rim vuole andare avanti.I riti sciamanici hanno la loro buona resa, la dinamica dell'esumazione è ben gestita con inquadrature d'atmosfera come quella della lapide, ma in generale l'ambientazione, la foresta, l'elemento simbolico delle volpi sono funzionali al contesto di mistero e horror del film.La regia di Jang Jae-hyun utilizza movimenti di macchina che figurano la presenza dell'anima che, ormai liberati, perseguita gli eredi della famiglia Park.Jang Jae-hyun non cede alla tentazione di mostrare jump scare faciloni, la presenza è vista tramite specchi e riflessi.Forse si poteva fare di più del momento cardine quando lo spirito insidia il neonato della famiglia Park, nonostante il montaggio alternato la dinamica poteva risultare più tesa.Già nella prima

ForNever Alone

Sono troppo di parte perché l’ho premiato insieme alla FilmAmo Family come miglior Film al Not Film Festival. Ma questo è un Film straordinario e l’abbiamo premiato a ragion veduta. Perché girato con zero euro. Solo 4 attori. Camera a spalla e via. Uno spaccato dell’educazione sentimentale tra giovani dall’altra parte del mondo, che sognano un mondo occidentale. Se siete genitori o adolescenti, guardatelo, tanto semplice quanto immediato nell’ arrivare dritto al cuore. Qui sotto una Videorecensione di Giacomo,condivisa col sottoscritto sul Palco del Festival, che esprime in 120 secondi l’essenza di questa piccola Perla Brasiliana :

The Priests

Horror coreano a tema possessioni, esorcismi dove il dramma umano dei due preti è ben rappresentato.Padre Kim è legato alla giovane Young-shin che deve esorcizzare a la vedrà progressivamente peggiorare di condizione, inoltre la reputazione e la credibilità del prete andrà sempre scemando.Il diacono Choi, aiutante di Kim, intraprende la carriera clericale per aiutare la defunta sorella ad andare in paradiso, data la causa di come è morta. Il percorso di Choi è tra i dubbi nei metodi e ciò che all'interno della chiesa di dice di Kim e la ricerca delle fede per aiutare la sorella.La regia di Jang Jae-hyun mostra parallelismi tra la situazione di Young-shin e la sorella di Choi tramite flashback e raccordi di montaggio, emblematico quello del cane.Choi vive anche di sensi di colpa in quanto esitò nell'aiutare la sorella, parallelismo che si ritroverà nel finale quando il diacono avrà paura del demone, il personaggio definirà poi il suo arco narrativo.Jang Jae-hyun gestisce bene la messa in scena cupa, la Seoul notturna e dark rende bene così come funziona la fotografia del terzo atto durante l'esorcismo dove i toni oscuri si mischiano con il verde e l'ambra creando momenti suggestivi.C'è un chiaro intento di ricercare la dualità, molte inquadrature vanno sulla popolazione che passeggia tranquillamente a Seoul contrastata invece dall'oscurità di padre Kim, dall'esorcismo e la battaglia per l'anima di Young-shin.L'esorcismo ha un buon climax, movimenti di macchina ad andare dentro i personaggi, la musica di Bach, buone inquadrature e i momenti umani, i dubbi di Choi, la sua fuga, il rivedere la dinamica della sorella i vicoli cechi e bui fino a giungere al momento catartico dove Jang Jae-hyun tramite i fumi dell'incenso, l'incedere del diacono e la fotografia da enfasi al momento.Il film presenta anche diverse inquadrature dall'alto come se ci fosse una

Godzilla Minus One

Ambientato tra la fine e l'imminente dopo guerra Godzilla rappresentati gli orrori di questa. Una guerra che perdura, le catastrofi che comporta sono vive tra le persone.Molte belle le immagini di Tokyo distrutta e la sua progressiva ricostruzione, un andare avanti, cercare di ripartire ma il protagonista Koichi non ne è in grado perchè vive di fantasmi e tormenti, non ha adempiuto al suo """"dovere"""" di kamikaze, è fuggito, così come esita e trema di fronte alla prima apparizione di Godzilla.Il comparto umano è uno dei punti di forza del film, soprattutto perchè in film di questo tipo spesso ne è invece il punto debole, la guerra per Koichi non è mai finita perciò non riesce a godersi in pieno l'opportunità di una nuova vita con Noriko a la piccola Akiku.Queste dinamiche magari potevano essere più approfondite, il tormento interiore di Koichi spesso è più raccontato, comunque nulla di grave specialmente per un film di questo tipo.C'è molto di Spielberg nella regia di Yamazaki, la prima apparizione di Godzilla ricorda Jurassic Park, soggettivamente avrei gradito più costruzione nella comparsa di Big G ma l'effetto è quello di mostrarlo direttamente; nel finale i rimandi allo Squalo sono evidenti.La distruzione di Tokyo da parte di Godzilla funziona molto bene con dinamiche e inquadrature ben costruite, quella del treno molto buona così come la preparazione e il lancio del raggio atomico del kaiju con gli effetti successivi.Per il budget a disposizione il lavoro è molto buono, la resa di Godzilla è valida, sì qualche volta la cgi non è al meglio, specialmente nei mezzi militari ma nulla di così negativamente impattante considerato anche l budget a disposizione.Come nel film di Honda anche in Minus One Godzilla incarna la disperazione e i suoi attacchi sono mirati ai segni del progresso umano sia tecnologico che

Il Tempo è relativo

Cixin Liu, ingegnere informatico e scrittore di fantascienza cinese, un uomo ancora sconosciuto nel nostro paese ma che in questa sede ho avuto modo di parlarne per ben due volte, in “The Wandering Earth” e in “The Wandering Earth II”. Se la suddetta saga ha, concretamente, fatto conoscere lo scrittore al mondo occidentale, “Remembrance of Earth's Past” è la trilogia di romanzi che lo ha definitivamente imposto come uno degli scrittori di fantascienza contemporanei più brillanti degli ultimi tempi e “The three body problem” è il primo libro della trilogia che uscì nel 2006 in Cina e nel 2014 negli USA. Per effettuare la trasposizione del primo romanzo viene scelta la coppia D.B. Weiss e David Benioff, registi e sceneggiatori della celeberrima serie “Il Trono di Spade” a cui si affianca, come terzo sceneggiatore, Alexander Woo, produttore e sceneggiatore della serie “The Terror”. Come cast vengono scelti dei discreti attori, dalla bella Eiza Gonzalez (qualcuno se la ricorderà in “Ambulance”) a Liam Cunnigham ("Il Trono di Spade", “Way Down”), dalla rivelazione Jess Hong al sempre bravo Benedict Wong ("Sunshine", “Prometheus”, “The Martian”, “Doctor Strange”, “Annientamento”, “Avengers”, “Gemini Man”) fino al divertente John Bradley ("Il Trono di Spade", “Moonfall”). La realizzazione è decisamente di altissimo livello tecnico: riprese, fotografia, VFX e colonna sonora si amalgamano in modo eccelso riuscendo a fornire allo spettatore picchi di spettacolarità di rara bellezza visiva. La trama si svolge in modo non lineare, in tre periodi temporali differenti. Partiamo dalla Cina del 1966 dove lo scrittore immagina che la Rivoluzione Cinese sia già in atto e dove il popolo prende il potere e cerca di sbarazzarsi di tutti quelli che fino a qualche tempo prima erano, volenti o dolenti, obbligati a sostenere il vecchio governo, in concreto tutti devono essere eliminati.Tra i vari simboli da spazzare

Godzilla II - King of the Monsters

Godzilla King of the Monster ha delle immagini altamente evocative, Dougherty riesce a dare enfasi e potenza alle immagini creando un racconto sia mitologico che apocalittico.Mark vede morire suo figlio per via dell'attacco di Godzilla del 2014, odia i kaiju e in particolare proprio Big G, il suo perciò è un racconto di redenzione. Sono funzionali le scelte registiche di Dougherty, riprese dall'immaginario già creato da Edwards, di mostrare gli attacchi volti ai salvataggi di Godzilla dal punto di vista di Mark che in prima persona vede come il grande kaiju non è di per se cattivo ed anzi una co-esistenza e collaborazione è possibile.La componente umana comunque lascia abbastanza a desiderare, il villain Alan Joahn è poco sviluppato e abbastanza caricaturale, vuole risvegliare i kaiju per riequilibrare il mondo, ma la sua presenza non è di grande apporto per il film.Stesso aspetto un po' vale per i soldati e alcuni membri della Monarch che risultano di contorno.La famiglia Russel, Mark, sua moglie Emma e la figlia Maddie rappresentano il core della parte umana del film.Destabilizzata dalla morte di Andrew la famiglia è a pezzi, Mark fugge mentre Emma collabora con Alan Jonah, qui manca un approfondimento tra Emma e Maddie, quest'ultima accetta di seguire la madre nonostante il folle piano e l'educazione della figlia è solo detta a parole e non mostrata, quindi il punto di vista di Maddie, il perchè segue la madre, il cosa pensa del piano non è mostrato, mentre invece sarà cruciale lo sguardo di Maddie su tutto quando capirà che la visione che ha Emma e Alan non è quella che si aspettava.Ci sono comunque immagini che riescono a far parlare la scena, Emma seduta sul letto ad inizio film che guarda fuori dalla finestra, uno sguardo proiettato verso il futuro, la sua visione

Godzilla Mothra e King Ghidorah Assalto di mostri giganti

Godzilla torna ed essere il mostro spaventoso che terrorizza il Giappone, incarna la rabbia dovuta alla perdite di memoria degli stessi giapponesi nei confronti della guerra.Interessanti gli accenni mitologici-fantasy, i mostri guardiani che proteggono il Giappone da Godzilla e le anime delle vittime all'interno di quest'ultimo che come uno yokai vendicativo si scaglia contro la civiltà rea di non avere più memoria.La regia si prende il suo minutaggio prima di mostrare le creature, specialmente Godzilla e King Ghidorah quindi fa salire l'attesa.L'era Millenium ha un po' il difetto di avere della cgi e spesso un budget non adeguato, alcuni effetti stonano, ci sono rimandi anche al film americano del ‘98 come Godzilla che emerge dall’acqua che si innalza, in una scena non troppo riuscita per resa visiva, ma gli scontri tra i kaiju sono comunque divertenti. La codata di Godzilla contro Baragon è cult per i cultori del genere.Il look di Godzilla è con gli occhi bianchi senza pupille proprio per renderlo più implacabile possibile e di fatto non c'è confronto, in questo film, con gli altri kaiju, Big G è totalmente dominante.Il comparto umano con la storia tra padre e figlia, quest'ultima giornalista e padre comandante dell'esercito è accettabile, per un film del genere, entrambi i personaggi hanno i loro obiettivi.Certo, molti aspetti e dinamiche sono poco approfondite ma questo accade spesso in questa tipologia di film.Dunque un buon capitolo della saga godzilliana con anche tantissimi rimandi al film capostipite di Honda sia a livello di singole scene ma anche nel concetto di riportare il concetto di distruzione collegata alla disperazione.Chiaramente è più ludico rispetto al film di Honda, anche nelle scene di devastazione non mancano momenti ironici e gli scontri tra i kaiju hanno ampiamente il loro minutaggio con molti raggi sparati da Godzilla e la presenza di

Challengers

Gli scambi del tennis come degli orgasmi, un perpetuo intreccio a tre dove i personaggi, seppur con gratificazioni differenti, non si sono davvero realizzati.I flashback di Guadagnino non hanno la funzione di creare la suspance hitchcockiana, semmai si è più dalle parti di Douglas Sirk, cioè dell'anti-suspance in quanto non si punta a dare realmente le informazioni alla spettatore che ne sa più dei personaggi, certamente per il meccanismo il come si arriva alle vicende è centrale, ma il tutto è un continuo ricollegarsi al passato che nessuno dei personaggi ha davvero superato.Molto buone le sequenze di tennis ed è interessante come durante le partite si cerca di andare, a seconda di chi gioca, a chi guarda il match anche tramite movimenti di macchina.Ralenti, soggettive, Guadagnino cerca di manipolare il tempo e catturare le sensazioni dei giocatori, specialmente nell'atto finale, dove tramite i gesti, il come è indirizzata la pallina, i sorrisi, gli sguardi, i giocatori comprendono cosa sia accaduto e trasmettono le rispettive emozioni.I ralenti non servono a pompare e dare enfasi, ma semmai a disorientare, ad esempio c'e un ralenti mentre Donaldson esce dal camerino per scendere in campo, all'apparenza si tutto pomposo ma poi la partita non viene fatta minimamente vedere ed anzi ci sono lui e Zachi sul divano mentre quest'ultima gli analizza il match e a Donaldson non interessa.Qui il ralenti è funzionale perchè Guadagnino gioca con la sua funzione spesso applicata per enfatizzare.Anche nel finale dove si ci sono continue trovate tecniche tra movimenti di macchina, ralenti e soggettive sono per dilatare lo spazio-tempo per mostrare la partita infinita come insieme alla musica techno mostra il disorientamento sensoriale che anche i due giocatori hanno visto tutto il triangolo del film.Magari la durata è un po' eccessiva e potrebbe mancare un po' di "vissuto" nei
Diego Cineriflessi
DirectionScreenplayActing

Un pugno nello stomaco

È il film d'autore per antonomasia dello scorso decennio. Il film che stregò il Festival di Cannes tanto da portare a casa la Palma d'oro arrivando in concorso come un outsider girato da un regista poco conosciuto.E 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni è davvero un'opera perfetta, capace di raccontare la Romania nel periodo in cui la dittatura di Ceausescu volgeva al termine e le maglie del suo controllo avevano parecchie falle. Un pugno nello stomaco che racconta la vita difficile delle ragazze dell'epoca quando l'uomo decideva sempre e comunque del loro corpo. Un'opera che non ha paura di parlare di aborto, di mostrarci la complessità e la crudeltà della materia senza moralismi di sorta perché descrive una tragedia per l'essere umano.Regia compatta che non indulge sulla spettacolarità ma ci tiene incollati alla sedia. La scena della cena a casa dei parenti è densa di paura, di attesa, di silenzi nascosti nel rumore che Mungiu sottolinea magistralmente. Altrettanto notevole il finale dove l'indugiare sullo sguardo della protagonista diventa denso di significato.Molto brave le due attrici. La Marinca ben fotografa una donna decisa, risoluta, che guida la situazione anche in pessime acque. La Vasiliu invece incarna un personaggio debole, che non sa cavarsela da sola, ma che grazie alla sua scarsa decisione mette nei guai chi ha intorno.Una grande visione, certo impegnativa e non adatta se si vuole passare una serata rilassante e divertente, ma è uno di quei casi in cui vale la pena provarci.