Per raccontare questa parabola il regista partenopeo ci mette grande cura, sia dal punto di vista scenografico che da quello interpretativo riuscendo a coinvolgere completamente lo spettatore che si ritrova a partecipare, se non a respirare, la polvere delle tavole del palcoscenico che la compagnia Scarpetta calpestava quotidianamente. E la scelta di usare il dialetto napoletano va completamente verso questa direzione che potremo chiamare naturalistica.