To Dust

Alla polvere.
Una dedica.
Una destinazione.
Un'imprecazione.
Un brindisi.
Una direzione.
Un modo di essere.

In To Dust, come per esempio nel bellissimo Krisha, seppure per motivi diversi, a mio avviso è molto significativa la dedica finale "in memory of Lynda Snyder". Una parente del regista, immagino. La mamma? La moglie? La figlia? Il film mi fa pensare che l'elaborazione del lutto si sia, in qualche modo, compiuta. A differenza di Krisha, dove i "cadaveri", i corpi, le identità, delle persone amate, ancora urlano, tormentano e sono tormentate, e non hanno pace.

To Dust è una delicata carezza, sì, ma racconta il dolore immenso che si prova quando la carezza che ti salva la vita lascia la guancia, per sempre. E lo racconta in modo davvero speciale, secondo me. Certo, non è perfetto, ma non importa: era chiaro dall'inizio che Shmuel avrebbe alla fine esumato sua moglie (che bella quella pioggia, quell'abbraccio in auto) ma non per questo è stato meno emozionante, anzi.

Credo questo - come quello di Rams - sia uno degli abbracci più belli, poetici e carichi di significato che siano mai stati raccontati.

Anche la sottotrama del Dybbuk non mi è dispiaciuta, del resto quei due bambini hanno perso la madre e cercano in tutti i modi di non "perdere" anche il loro papà ("ti farà bene fare questo viaggio? Allora hai la nostra benedizione"). E il fantasma, del resto, è il vero protagonista del film. L'assenza - mai vuota, mai banale - è la cornice di tutto. E la storia di Shmuel, e del suo nuovo amico Albert, è la storia di un uomo (il regista stesso?) che scava dentro il suo cuore nel tentativo di dotare di senso l'indicibile: la morte della persona che ami.
Con delicatezza, con amore, fino a trovare la pace e tornare a cantare di nuovo.