Baby Buio Blu

Shiva Baby.
Un film che col tempo cresce.
Diventa più dolce (ma di quella dolcezza mai stucchevole), e anche più amaro (ma di quella amarezza mai sterile).
Insomma, Shiva Baby sul lungo periodo fa fiorire tutte le emozioni che semina nella sua ottantina di minuti.
E' un dramma familiare, un film esistenziale, una commedia, con una narrazione che alterna momenti di ansia e angoscia con momenti di ilarità, a volte anche grotteschi: Shiva Baby si carica di tutto questo, senza mai scadere nel banale.
La visione di Shiva Baby mi ha rimandato in particolare a due film: La Sposa Promessa e To Dust. In particolare quest'ultimo: quando ho visto quelle mani stringersi, in quello splendido finale, non ho potuto non pensare a quell'abbraccio. Due momenti catartici, liberatori, arrivati dopo una serie di "sfide" esistenziali, come meritato premio per aver resistito agli assalti della vita. Non so, almeno per me. E poi, lo confesso, io adoro la cultura ebraica, per vari motivi, in particolare ho sempre amato/ammirato la loro capacità di fare ironia e autoironia (e sul perché la cultura ebraica abbia sviluppato questa peculiarità ho una mia teoria, ma ora non voglio annoiare nessuno).

Danielle. E' così facile innamorarsi di questo personaggio così ben scritto - e trovo l'attrice di una bellezza graffiante: un candore preraffaellita tagliato con il fascino selvaggio ed erotico delle donne di Egon Schiele, insomma quella "bellezza imperfetta" che personalmente trovo irresistibile.
Quindi, Danielle.
Il suo è un viaggio al termine della notte, perché l'assedio urlante dei suoi giorni - carichi di famiglia, etichette, convenzioni, formalità, cibo, futuro a ogni costo e altri mostri - l'ha stremata, sfibrata, e lei ha solo bisogno della pace dell'aurora.
Di fermarsi e guardarsi allo specchio.
Per riconoscersi.
Per essere riconosciuta.
Ha bisogno di un attimo di quiete nella tempesta dell'esistere.
E quella mano è un'ancora di salvezza.