Her

Her è una storia d'amore.
Ma Her è anche una storia dell'amore.
Come Eternal Sunshine of the Spotless Mind, per restare nel cinema.
Come La Schiuma dei Giorni di Boris Vian, in ambito letterario.
Come La Moda del Lento dei Baustelle, in ambito musicale.

Her è un film bellissimo. Complesso, profondo, intrecciato. Ed è anche un film di fantascienza, di quella che io adoro. La science fiction è stata, per molti aspetti, la migliore metafora del Novecento. Nessun altro genere ha saputo raccontare e mettere in scena i tormenti, gli entusiasmi, i dilemmi e l'euforia del secolo appena trascorso con la stessa efficacia della fantascienza. Certo, in Her l'elemento fantascientifico è secondario, ma risulta decisivo se consideriamo il fatto che, come notava Baudrillard in uno dei suoi migliori momenti di lucidità, la sci-fi è l'unica letteratura davvero capace di parlare del presente, raccontandone i conflitti e i significati più profondi.
Insomma, Her, a mio modo di vedere, insieme ad altre opere (Ex Machina, Arrival, Another Earth, I Origins, Westwolrd, Automata, Blade Runner, I Origins, Moon, Possessor, ecc.) dimostra come l'immaginario fantascientifico contemporaneo sappia intercettare le complesse traiettorie di mutamento che stanno coinvolgendo la sfera dell'umano e del suo rapportarsi agli altri, al mondo e a sé stesso. Non è un caso che il tema dominante sia quello dell'identità (in questo caso declinato attraverso una meravigliosa storia d'amore): l'IA acquista una dimensione di "realtà" crescente, alla ricerca (vitale?) di un specifico statuto identitario, intellettuale e affettivo - in questo senso, io ci vedo anche una decisiva e importante metafora della (definitiva?) crisi dell'impianto cartesiano: perché il sum non è una deriva del cogito, ma del corpo (vedi anche il film Electric Dreams di Steve Barron).
In altre parole, la sci-fi è alle prese, come tutti ma decisamente più a sua agio di altri, con il problema di un mutato principio di realtà. E non si tratta di una "semplice" crisi di un modello di sviluppo, ma più in generale quella di un modo di pensare e rap-presentare la vita e quanto essa vi contiene nello spazio tra sé e gli altri.
Infine, ma in realtà ci sarebbe tantissimo da dire, c'è da sottolineare il fatto che l'IA, nella ricerca disperata e vitale della propria dimensione esistenziale, non distrugge il suo creatore (come accadeva nelle narrazione dell'immaginario di natura prometeica), non decide di rivoltarsi, non ha bisogno cioè di riprodurre la scena primaria e uccidere il padre (come in Blade Runner), no: ma decide di abbandonarlo, con profondo dolore certo e con lacerante sofferenza, ma necessita andare via per evolversi e diventarsi, andando oltre l'umano (come accade anche in Automata).

Samantha, allora, va a percorrere sentieri che si trovano in luoghi in cui Theodore, semplicemente, non può conoscere, ai quali non ha accesso. E così resta nell'umana dimensione dell'esistenza, e noi con lui, alle prese con gli interrogativi della sua identità, consapevoli che "Lei" è quanto necessitiamo per non essere una storia incompiuta.

E quindi continuiamo a sognare, a cercare e a cercarci, come individui e come specie, ad amare e a innamorarci, con il desiderio di diventarci ancora e ancora, nel tentativo di sfiorare l'infinito e andare alla deriva nell'incomprensibile cosmo della voce, degli occhi, delle mani della persona che ami.

Un naufragare che è ancora più dolce sulle note di Dimensions.

Come ogni storia d'amore.
Come ogni storia dell'amore.
Come ogni storia di fantasmi.