Akelarre

Viviamo in un mondo dove chiunque si sente offeso per qualunque cosa, dove serpeggia il male della banalità, dove revisionismo storico e memoria selettiva fanno scempio del nostro passato, dove il politicamente corretto regna sovrano, dove si valorizza il bisogno invece del merito e altre cancerogene mediocrità: in uno scenario tanto desolante, ho accolto come una piacevolissima sorpresa questo Akelarre.

Perché tratta il tema della violenza di genere senza cedere alla tentazione della retorica, perché si tiene a distanza dal pantano dell'esaltazione della vittima, perché fa di tutto per non scivolare in stereotipi, luoghi comuni e falsi miti. E già questo basterebbe. Se poi ci aggiungiamo un livello tecnico altissimo (n.b. io di tecnica cinematografica non capisco niente) - dalla fotografia all'uso dei colori e della luce, a certe inquadrature che rapiscono - allora otteniamo davvero un gran bel film. E lo è davvero.

Un sacco di scene strepitose. Tanti momenti significativi e carichi di senso. Vorrei sottolineare soprattutto due punti. La pervasiva potenza di "niente è più pericoloso di una donna che balla", e il fatto che l'uomo - inteso come genere maschile - non viene demonizzato in quanto tale, perché quelle ragazze ripongono tutte le speranze di salvezza proprio nei loro uomini.

E poi quel finale, sospeso e aperto, con quel salto che è un volo, non ho dubbi, sia letterale sia metaforico. Un altro scandaloso passo di quella sfrenata danza che è la conquista di sé stessi.