Ci sono personaggi che entrano a far parte dell’identità collettiva di un intero Paese, diventando a tutti gli effetti simboli riconosciuti ed aggreganti di popoli e terre. Grandi condottieri, statisti, scienziati ed artisti, emblematiche figure di orgoglio e di eccellenza nazionale. Stupisce invece che sia un criminale ad ergersi a guida collettiva in cui forse potenzialmente identificarsi. E questo è il caso proprio del personaggio reale, protagonista del film, Edward Ned Kelly, il conosciutissimo fuorilegge australiano esaltato dai posteri alla stregua di un Robin Hood oltreoceano. Erto a paladino di una causa di riscatto sociale volta a sovvertire il (dis)equilibrio di quella terra eterogenea in cui etnie e popoli si scontrano e si sottomettono reciprocamente.
Inglesi, irlandesi, americani. Tutti sembrano aver perso qualcosa (o qualcuno) in cui identificarsi. Difficile, infatti, sentirsi parte di un popolo intero, più facile invece sentirsi integrati in un piccolo gruppo, spesso criminale, solo apparentemente simbolo di una nazione che vuole capirsi, più verosimilmente giustificazione della volontà di sopraffare l’altro.

Justin Kurzel, pur adagiandosi troppo su un’estetica pompata e simbolica a discapito dell’evoluzione narrativa, si concentra proprio sul valore intimo e personale del dramma di Ned. Suddiviso infatti in tre capitoli, simbolo delle tre fasi teoriche del processo di ascesa e caduta del protagonista, il film vive dell’individuazione di momenti cardine della sua vita.
Da un giovane bambino biondo (sicuramente la sezione più riuscita) costretto a crescere troppo in fretta, assumendosi responsabilità che nessun altro osa prendersi e vincolato ad un mondo in cui dilaga una violenza che bisogna ancora imparare a conoscere. Per arrivare ad un Ned più maturo, ma non per questo indipendente dalla sua infanzia, perché forse ancora ossessionato dal ricordo di una figura paterna fisicamente ormai lontana, ma che continua a vigilare su di lui come un’ombra da cui a tutti costi vuole separarsi.
Quel giovane irlandese deve scegliere (e capire) chi essere. E il dramma della scelta è proprio quello che lega indissolubilmente tutti i momenti di massimo climax dei tre capitoli del film. Scegliere per trovare la propria strada, per decidere a chi appartiene la vita che stiamo vivendo, provando a diventarne protagonisti assoluti.
Ned dovrà dunque distaccarsi da una visione imposta, che lo obbliga a vivere all’ombra dell’eredità di un padre che non c’è più e di una madre che vede un futuro ormai già scritto. Stesso motore d’azione che spinge il giovane Arthur Fleck in Joker a farsi artefice del proprio destino, staccandosi da tutte quelle aspettative di felicità e sorrisi che la madre gli ha imposto. Una scelta esistenziale come decidere se premere un grilletto o lasciare cadere l’arma. Se uccidere o se lasciar vivere. Se essere parte di un gruppo criminale (diventandone addirittura leader) o se invece rimanerne distaccati.
Ned dovrà privarsi di ogni forma, etichetta, vestito imposto e condizionato. Dovrà rimanere nudo, con il suo corpo tremante, come un albero spoglio in una terra desolata.
Dovrà scrivere la SUA storia, con le sue mani, con il suo corpo.
E dovrà inciderla indelebilmente sulla pietra, sul metallo. Così che un figlio possa sempre leggere.
E sapere. La vera storia. La sua storia.