Recensione di   Riccardo Simoncini Riccardo Simoncini

The Rapture

(Film, 2023)

Tra i grandi temi di quest’edizione del Torino Film Festival uno dei più ricorrenti è sicuramente rappresentato dalla maternità, quel magico e simbiotico rapporto che lega indissolubilmente una donna alla piccola creatura nata dal suo corpo, donne in procinto di diventarlo, donne che diventandolo mutano completamente pensiero e forma, anche allargando vuoti di per sé incolmabili. 
L’esordio di Iris Kaltenbäck ne racconta qui il desiderio morboso e quindi la sua frustata negazione. 
Lydia è un’ostetrica eccellente, si occupa delle mamme più che dei loro bambini, come puntualizza a più riprese, eppure vorrebbe tanto diventare lei stessa mamma e occuparsi così di un suo bambino (amarlo ed essere amata). Nel giorno in cui Lydia scopre di essere tradita dal suo ragazzo la sua migliore amica Salomé, il suo “vaso comunicante”, con cui condivide un’unica dose di felicità, le rivela di essere incinta. Tutto cambia da quel momento. Il desiderio si fa ossessione, la maternità possesso, unica possibilità per sfuggire all’insonnia di vite senza direzione, come Milos, l’autista di bus che Lydia conosce in una notte, in una Parigi urbana irriconoscibile che come anche la metropoli antropomorfica di Robot Dreams annulla corpi e sogni nella solitudine estrema, in “estranei familiari”, tra cui vagare apolidi della felicità semplicemente da un turno all’altro.


Con uno stile delicato ed elegante accompagnato occasionalmente da un voice-over di Milos a volte fin troppo invasivo, Le Ravissement si affida tutto alla sua magnifica attrice sempre stretta nel suo caldo cappotto rosso, la magnetica Hafsia Herzi del Cous cous di Abdellatif Kechiche, al suo bisogno viscerale di ospitare e dare vita, sfiancandosi nel volto, nel corpo e nel respiro come i muscoli pelvici dell’amica, atrofici e incontinenti per essere stati portati all’estremo proprio per mano di Lydia in un parto inutilmente sofferto (“Non volevo deluderla”). Un thriller alla Dardenne per certi versi, perché dietro il voler essere madre c’è il segreto più grande di quella vita che deve ancora nascere. E mentre le menzogne si accumulano Lydia inizia così a scrivere la storia inesistente della sua maternità, ostinandosi ad ogni costo ad arredare una vita di fatto inventata, costruita sull’egoistica fiducia manipolata e manipolativa. 
Lydia ha fatto venire al mondo centinaia di bambini, eppure nessuno. La colpa più grande, la follia più intima: non essere madre. E da lì ripartire.

 

Da Il Buio In Sala - Re­so­con­to del 41 To­ri­no Film Fe­sti­val (2023)