Tra i tetti soleggiati di Buenos Aires la vita si ripete ogni giorno sempre uguale a se stessa. Alzarsi, vestirsi, salire in metro, un caffè al volo e subito ripartire in banca a contare banconote, emettere assegni, incassarli. A volte qualche contrattempo, che sembra però non sconvolgere mai quelle vite grigie come i completi indossati. “C’è gente che ha la stessa vita” – viene precisato ad inizio film. Almeno fino a quando non capita di attuare l’idea del secolo. Perché forse “è meglio passare 3 anni e mezzo in carcere che 25 in banca.” Così un modesto impiegato ruba un’ingente quantità di denaro nell’istituto di credito in cui lavora, una somma equivalente allo stipendio fino alla pensione, un compromesso ideale per sfuggire alla monotonia di un lavoro (del lavoro) alienante e mai appagante, quel disequilibrio tragico e obliante già ottimamente raccontato anche nella recente serie tv Severance (Scissione in italiano) su quella speranza mutilata di un impiegato scisso appunto nel (e dal) mondo capitalista.
Una rapina insomma che trasforma tutto in altro, sicuramente non un poliziesco e nemmeno un thriller, anzi forse più la sua lentissima negazione, un film umanissimo e umanista sulla ricerca disperata di libertà, al di fuori di ogni confine. Morán e Román: colleghi e complici inconsapevoli, delinquenti da titolo più per aver attentato la quotidianità abituale che la banca in cui lavorano, anagrammi paralleli di vite ordinarie che cambiano e sconvolgono l’ordine delle lettere di sempre, riconteggiando sarcasticamente con la calcolatrice il punto geografico della propria esistenza. Dai freddi e asfissianti caveau senza finestre ai paesaggi sconfinati dell’Argentina in cui tornare a respirare. Dalle strade affollate in cui correre (“viviamo per lavorare”) alla lenta contemplazione della natura. Guidati entrambi da una terza figura anagrammatica e paradigmatica di cui innamorarsi: Norma, che nella terra libera e agreste si dedica al cinema.


Con un’operazione che a volte risulta fin troppo esplicita e sovrabbondante nelle immagini e nei dialoghi (dilatati su 3h e 3 atti), Los Delincuentes recupera tutta la malinconia più tipica del Nuovo Cinema Argentino, immergendola con un pizzico di ironia (tra coincidenze, fraintendimenti e stessi attori che interpretano personaggi diversi) nel bucolico sognare futuro, ovviamente ora in completo di jeans e a cavallo. Ma per raggiungere davvero quella libertà tanto bramata servirà forse cambiare del tutto le lettere della propria vita, non basteranno anagrammi, non basteranno palindromi, e forse non basterà nemmeno un film. “Dove sta la libertà?

 

Da Il Buio In Sala - Re­so­con­to del 41 To­ri­no Film Fe­sti­val (2023)