Quando il sogno di libertà ha l’odore di kerosene

Un folgorante esordio energico e adrenalinico, di pirati dell'asfalto e di una sirena selvaggia della motocicletta in grado di sovvertire quell'ordine corsaro. Sull’asfalto rovente, tra i suoni reboanti di motori a due ruote su di giri, la protagonista Julia cerca infatti di trovare il suo ruolo nel mondo, farsi strada in un contesto dove non viene considerata, ma sempre ignorata se non addirittura annientata.
Arrivata come un'estranea amazzonica ("Sconosciuta" la chiamano) tra un branco di rider da cross che ha più le sembianze di un clan di contrabbando, Julia cercherà a qualunque costo di ritrovare il suo spazio e sentire finalmente la libertà furiosa e viscerale che cova dentro di sé, pronta a scoppiare ed esplodere in sella. Ha bisogno di moto, ha bisogno di cavalcarle, ha bisogno di sentirne la fisicità a contatto con il corpo, toccando tra quegli animali notturni metallici la libertà più grande possibile: essere criminali. E volerne di più e sempre di più. Con un meccanismo strategico che via via si ripete sempre uguale e sempre efficacemente: individuare su Ebay annunci di moto in vendita, provarle di persona e poi scappare via senza farsi più vedere, sfrecciando in un’adrenalina che in quell’aria improvvisa diventa ebbrezza e ubriachezza, dove il tremore non è paura, ma pura esaltazione.

Con il sogno costante di un grande colpo (non di un portavalori, ma di un camion ricolmo di veicoli a due ruote) Julia inizia così la sua scalata (da “sconosciuta” diventa  “strega”), in un sistema maschilista che la vorrebbe invece relegare in un angolo come giovane donna d’attesa, a guardare chi corre, o ancor peggio a casa con le tapparelle abbassate nemmeno a poter osservare (come accade ad Ophélie, moglie del Boss continuamente subordinata). Ma a Julia neanche i soldi interessano, quelle banconote sonanti e abbondanti che non mancano mai di girare e comprare ogni cosa, persino in carcere per corrompere le guardie (perché anche le forze dell’ordine sono fantasmi scrutabili solo all’orizzonte, lontani sui ponti ad arrivare quando ormai è troppo tardi). Quella di Julia invece è vita pura, all’ennesima potenza ("non sono nulla senza la mia moto" urla fin dalle primissime concitate scene). In un moderno rodeo che, come da titolo, è fatto di tori a pistoni da cavalcare, non da domare, ma da condurre nel proprio regno, mentre gli incubi di fantasmi dolenti lacerano il corpo.

Gravitante tra l'incendiaria azione di Mad Max di George Miller e la passione carnale dei motori di Titane di Julia Ducournau, Rodeo riprende insomma (de-costruendola) quella tradizione di cinema delle banlieues  (tra cui spiccano i recenti Les Misérables e Athena), ma dove le armi sono motori, i gangster ladri di motociclette e i palazzoni in cui barricarsi fatiscenti garage dei desideri, che, come in un mondo dei balocchi impregnato di benzina, offrono opportunità, sogni all’odore di kerosene, infinite nuove vite per quelle carcasse di motociclette che lì rinascono con altrettante nuove modifiche e trasformazioni (il numero di serie come un genoma, i pistoni come cuore pulsante).
Ma in mezzo a quei telai solitari dagli scarichi ingrassati, dentro Julia continua a divampare un fuoco di libertà, sempre più desideroso di urlare indipendenza in ogni sua piccola scintilla. E sarà così incontenibile che dovrà liberarsi all’esterno, non più solo come semplice fiamma tenuta a bada da un mondo ignifugo, ma come vero e proprio incendio distruttivo.
E da fuoco sarà cenere.
E da cenere sarà fenice.
Lì finalmente dimenticarsi del freno.
E accelerare, accelerare.