Un film "per coloro che amano i dolci"

Le ragioni per cui valga la pena la visione del film, "Don Giovanni" di Carmelo Bene (1970) sono molteplici. 
Innanzitutto perché è un gioiello barocco e in seconda battuta per l'ecclettismo che lo caratterizza. 
Potremmo dire che nell'analisi di quest'opera ci si potrebbe muovere sui così detti mille piani deleuziani. 
Per sentire a pieno tutti gli umori che emergono dalla visione di questo film bisogna per prima cosa distinguere i vari livelli attraverso i quali si snoda e viene espressa la poetica del mito di Don Giovanni secondo Carmelo Bene e i suoi molteplici riferimenti culturali. 
Il primo e più lampante come già detto è il barocco nella sua svariata gamma di colori e di cupezza. 
Alcune scene del film son talmente colorate e vorticose tanto da sembrare un'allegra parata, tanto è vero che Vittorio Bodini nel suo omaggio al film lo definisce come un'opera che non che piacere se non a chi piacciono i dolci. Questo perché il cromatismo di alcuni frame e la presenza specifica di cibo molto colorato non può che richiamare alcuni piatti tipici della regionalità italiana come per esempio la cassata siciliana. 
La cupezza delle atmosfere è data già dall'ambientazione, la minuscola abitazione di Carmelo Bene che si trova in zona Aventino a Roma. La fine e l'inizio del film così come la scena in cui la bambina interpretata da Gea Marotta suona un piano muto che non produce suono son i topoi dell'arte barocca in tutte le sue forme. L'iniziale citazione tratta da Borges riguardante gli specchi, così come i riferimenti pittorici, teatrali e mistici che lo caratterizzano fan di quest'opera barocca su pellicola un unicum. Il Don Giovanni di Mozart che risuona nell'incipit a cui vanno a sovrapporsi le immagini del catalogo di madamine (Lydia Mancinelli) e la voce fuori campo dello stesso Bene che narra la storia tratta dal racconto, "Il più bel racconto di Don Giovanni" di Jules Amedeé Barbey D'Aurevilly già son peculiari nell'esprimere la caratteristica d'unicità di questo film. Come già abbiamo detto, il misticismo è la struttura portante dell'opera e delle sue atmosfere. 
Si deve distinguere la teologia positiva incarnata dalla bambina, aguzzina e protagonista del racconto che sgrana rosari e bisbiglia preghiere accompagnata da soavi arie verdiane da quella negativa simboleggiata dalla figura di Don Giovanni e dal suo mito. La scena in cui lui tenta di attrarre ed inquietare allo stesso tempo la bambina tramite la rappresentazione di un teatrino di marionette/pupi siciliani che inscenano Pinocchio è direi a questo avviso significativa anche per il fatto che alla fine di questo teatro nel teatro lo stesso Don Giovanni si trovi legato, impigliato e crocifisso dai fili di ferro con i quali muoveva le marionette finendo a comporre la posa di un San Sebastiano/Cristo.
Questa scena apre anche alla trattazione di un altro tema caro a Carmelo Bene, la donna bambina che si ascrive nella figura della bambina e della madre (Lydia Mancinelli). 
La prima simboleggia l'infanzia, la sua cattiveria e ingenuità mentre la seconda la bontà dell'amore che una madre può provare per una figlia. L'ambivalenza della donna e della bambina è quindi da attribuirsi a queste due figure ma bisogna capovolgere di segno l'una e l'altra. Nell'opera è infatti Lydia Mancinelli ad avere i caratteri e le movenze di una bambina mentre la bambina possiede la fermezza di carattere e l'ardore mistico tipica degli adulti. Tutto ciò viene espresso dalla scena inquietante durante la quale Don Giovanni inscena una livida sfuriata condita di schiaffi, urla e schiamazzi caratterizzata dal forte aspetto cromatico e luminescente dato dal contrasto cromatico fra i cibi e bevande in tavola e le buie e oscure atmosfere e location del set. 
La chiave di lettura del film è da trovarsi nella binarietà della donna bambina che permette di disvelare l'ambivalenza di Don Giovanni, fatto che permette di annientarne la specularità e la figura. 
Caratteristica è a questo avviso la scena finale del film che richiama il frame di poco precedente che simboleggia l'annientamento dell'immagine, sintesi della poetica iconoclastica beniana. 
Infine vorrei sottolineare come Carmelo Bene sia arrivato a realizzare un film che sia e si presenti come un gioiellino barocco e dalla forte ed intensa portata estetica come questo con pochi mezzi di produzione economica ed artistica e come alla fine sia sempre la semplicità dei poveri ma più diretti ed efficaci mezzi a disposizione a rendere indimenticabile nella storia un'opera che valga la pena di vedere più volte non solo per apprezzarla ma anche per analizzarla e studiarla per farne tesoro per risollevare le sorti del cinema contemporaneo italiano. Questo perché per dirla con Schopenhauer, "Non bisogna produrre dei capolavori ma essere dei capolavori".  
Carmelo Bene - Don Giovanni (1970)