Un tesoro sotterrato è ciò che viene ricercato dai protagonisti del film, il caparbio signor Brown, esperto di archeologia, e la raffinata signora Edith, fortemente convinta che i tumuli del suo terreno nascondano un enorme tesoro da riportare alla luce. Un passato che sembra quasi tormentarla e che lui è capace di accogliere dentro di sé prendendosene cura con infinita tenerezza, in ogni istante di quella che rappresenterà una ricerca spasmodica. Sin dalle prime scene del film rimango affascinata dai loro sguardi, fragili ogni tanto, ma mai arrendevoli, sostenuti da quel sogno che si aggira nei meandri delle loro anime, facendole risuonare all’unisono.
Dagli scavi del signor Brown emergerà qualcosa capace di luccicare ancor più dell’oro: il coraggio di chi non si arrende, per esempio, o la felicità di due giovani che scoprono l’amore in un altrove che mai avrebbero immaginato.
Intanto che la vita procede con la sua disarmonia (invidie, lutti, battaglie e malinconie quotidiane) e seppellisce ciò che di più caro appartiene all’uomo, il film esorta a scavare dentro di noi e a riportare alla luce quel tesoro della nostra esistenza, quella traccia del nostro passaggio in questo mondo, che in realtà non morirà mai.
Non si può non rimanere incantati dalla bellezza della campagna inglese, ma c’è una scena che soprattutto ha rapito la mia attenzione e che custodirò come un dono: l’abbraccio tra una madre ed un figlio sotto una cupola dorata di stelle. Un legame soffice soffice, capace di farli elevare con la fantasia a bordo della nave e di farli viaggiare tra le onde dello spazio, annientando in un secondo ogni spigoloso tormento appartenente a questo mondo finito e l’angoscia della separazione che avverrà.
E così, sempre raffinato, romantico e straziante come una melodia di Chopin, questo film fluisce e sussurra al cuore evocando tanti sentimenti struggenti, espressione della nostra umanità.