IL PRIMO UOMO

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L’incipit è un rimbalzo da brividi nell’atmosfera: per i primi minuti del film, infatti, sembra di viaggiare insieme all’astronauta, di percepire tutta la sua paura mentre ondeggia nello spazio dell’ineffabile, di sperimentare la minaccia del nulla. Ma lo spettatore sa perfettamente, però, che quella che sembra essere una fine rocambolesca, è solo l’inizio di una narrazione che ripercorrerà i momenti cruciali della Missione Apollo 11 della NASA.

 

Ryan Gosling, protagonista di questo film biografico, veste i panni di Neil Armstrong e, attraverso la sua capacità interpretativa, rende decisamente potente questo film. I primi piani dei suoi occhi, rivolti verso l’alto o illuminati dalla luce de sole, ci ricordano che la speranza è un sogno ad occhi aperti, come affermava Aristotele. Essa deve sempre tendere verso l’alto e cercare di afferrare un oggetto. In questo film l’oggetto è la luna. Nessun  potenziamento dell'ego, ma una missione volta al miglioramento del mondo e a un avanzamento del sapere, sembra essere il messaggio principale del film.

 

Il titolo ha rievocato nella mia mente un film biografico su Camus, in cui lo scrittore con la potenza della sua penna stilografica era impegnato con la stesura dell’opera “Le Premier Homme” tentando di descrivere la smania nel cuore e lo sguardo sempre rivolto verso l’infinito dell’essere umano. 
In un’intervista, Armstrong si trovò ad affermare: “Penso che stiamo andando sulla Luna perché è nella natura dell’essere umano affrontare le sfide. […] ci viene richiesto di fare queste cose proprio come il salmone nuota controcorrente”. Del resto:

 

"Chi non spera quello 

che non sembra sperabile 

non potrà scoprirne la realtà, 

poiché lo avrà fatto diventare, 

con il suo non sperarlo, qualcosa 

che non può essere trovato

 e a cui non porta nessuna strada". 

Eraclito

 

 

“Ho sposato Neil perché volevo una vita normale…sembrava molto stabile!” afferma la moglie (Claire Foy) durante il film, mentre è trepidante di sapere cosa ne sarà di suo marito. Ma dentro di lei condivide la purezza di quel sogno, partecipa a quel rischio con tutta se stessa (se proprio dovessi muovere una critica al film, probabilmente mi soffermerei sul fatto che non abbia riservato uno spazio anche alle altre donne che sostennero con la loro competenza il primo gigantesco passo per l’umanità compiuto dall’uomo sulla Luna. Anche loro sognavano e… calcolavano!).

 

Ho amato tantissimo gli occhi (pregni di solitudine) del protagonista quando si ritrova a tu per tu con il paesaggio lunare.  Non conoscevo, infatti, il dolore personale di Neil Armstrong collegato alla perdita della figlioletta. Un cuore che ha sofferto, ho pensato tra me e me, è una base sicura per la speranza. Quando non si arrende. Quando continua a cercare la felicità….fino alla luna, senza voltarsi indietro!

 

Il film mi ha fatto conoscere, inoltre, una spoken word (poesia parlata) del 1970 di Gil Scott Heron, dal titolo “Whitey on the moon”.