L'assassino seriale del vizio capitale

Ernest Hemingway una volta ha scritto: "Il mondo è un bel posto e vale la pena combattere per esso". Condivido la seconda parte. 
Seven, capolavoro assoluto, thriller difficile da imitare, e c'è chi ci ha inutilmente provato, (Resurrection, per citarne uno), ottenendo comunque discreti risultati, soprattutto per la buona presenza di gore che apprezzo sempre, e chi invece si è pesantemente schiantato contro qualcosa di inarrivabile. La trama è geniale, così abilmente costruita da apparire quasi oscena, toccando l'apice del puro male.

Questo è un racconto che incarna perfettamente il genere: c'è un serial killer che uccide vittime a caso, due detective che indagano, indizio dopo indizio la storia prende lentamente forma, spiazzando ogni aspettativa e dipingendo una follia subdola e creativa. Certamente l'idea innovativa, capace di far in modo che il film si distingua dagli altri, affonda le sue radici nel protagonista invisibile, che agisce nell'ombra fino a un certo punto, e disegna un assassino la cui pazzia va oltre ogni limite della schizofrenia. Sette peccati capitali, sette mali da curare. John Doe, (un superbo Kevin Spacey), è un uomo qualunque che ha tuttavia l'ardire di eleggersi a mano di Dio, punendo chi è portatore di queste insane qualità, facendoli perire con insana atrocità.

L'ottimo Morgan Freeman è un poliziotto ormai prossimo alla pensione, disilluso, amareggiato, gli viene affiancato il giovane David Mills (Brad Pitt), destinato a sostituirlo. Tra i due inizialmente non corre buon sangue, e la moglie di Mills (Gwyneth Paltrow), invita il collega a cena sperando che i due possano conoscersi meglio e andare d'accordo. I due approfittano dell'occasione per continuare a studiare il caso a cui stanno lavorando.

David Fincher dirige con abilità, riuscendo a mantenere un'atmosfera tesa e adrenalinica, costruendo ruoli d'impatto, complice un cast di attori formidabili.

La meraviglia della pellicola è rappresentata al meglio nell'epilogo, in cui si racchiude uno squisito cinismo singolare. La scena che implica Pitt e Spacey è ricca di tensione semplicemente spettacolare. Impossibile da dimenticare. Il deserto, la polvere, l'elicottero, la spasmodica corsa, la trepidante attesa per una rivelazione che è urlata a gran voce, che era già annunciata ma si libra nell'aria per essere finalmente ascoltata, e creduta. Il crescendo è incalzante al punto giusto, tiene il ritmo e coinvolge, rende partecipi, lo spettatore sa cosa sta per accadere, ma non ci vuole credere, non osa immaginare che il cattivo vinca sul buono, mentre quel buono, tra lacrime e sangue, continua a lottare contro il male che beffardo lo schiaffeggia con parole oltraggiose e lo incita alla soluzione finale. Ed è proprio in quella fine sofferta, ferita aperta e non rimarginabile, scenario di un bene sconfitto che soccombe alla giustificata ira, che Seven vince tutto. Il perdono perde la sua scommessa contro la vendetta, l'attesa febbrile raggiunge così quella vetta, che nella collera annega il dolore sconfinato, di un brav'uomo, a cui il futuro è stato strappato.