La resurrezione surreale che non soccombe al male

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Figlio minore di Seven, Resurrection esce quattro anni dopo il capolavoro di Fincher, ed è abbastanza palese una certa similitudine con esso. Anche qui abbiamo un serial killer con evidenti rotelle mancanti, che stavolta non uccide ispirandosi ai sette peccati capitali, ma di base sussiste sempre un movente religioso. C'è una coppia di detective che indaga, tra cui risalta un Cristopher Lambert non in forma come nel primo Highlander.

I toni sono lievemente più gore, e questo per me può solo che essere un bene, infatti è ciò che dal mio punto di vista salva la pellicola dal totale anonimato (pur essendo rimasto abbastanza di nicchia e non eccessivamente apprezzato).

Lambert (che è anche autore del soggetto), interpreta l'agente John Prudhomme, tormentato e provato da una recente perdita personale, ovvero la morte del figlio in un tragico incidente. Si è appena trasferito a Chicago, e insieme al suo partner è incaricato di indagare su un omicidio efferato, un uomo a cui il braccio sinistro è stato asportato. Successivamente verrà rinvenuto un altro cadavere a cui manca l'arto destro, e apparirà evidente che dietro a entrambi i delitti si celi la mano dello stesso insano di mente. (Robert Joy).

Una terza vittima decapitata, con testa rubata, e i numeri romani disseminati sulle scene del crimine conducono John a dei versetti della Bibbia; i vari indizi, tra cui i nomi dei martiri, e la loro età (hanno tutti 33 anni), lasciano intuire che l'omicida stia cercando di ricostruire il corpo di Cristo in tempo per la Pasqua. Le nuove informazioni guideranno i poliziotti verso il prossimo bersaglio, e interromperanno l'assassino, ma le cose si metteranno male e il collega di Prudhomme rimarrà ferito. Ovviamente, dopo esser stato disturbato, lo psicopatico se la legherà al dito.

La sceneggiatura poteva essere sviluppata in maniera più incisiva, la presenza di David Cronenberg in un ruolo marginale risulta gradevole ma poco efficace, ottima l'interpretazione di Joy, più tiepida quella di Lambert. Mulcahy riesce a mantenere alta la tensione, con qualche bella inquadratura e un montaggio ritmato, e la fotografia cupa è di aiuto. La fine è un po' troppo acquiescente, non mi ha convinto per niente. Il girato merita comunque grazie all'idea di partenza, che ho trovato insensata al punto giusto, qualche ottima ripresa che strizza l'occhio allo splatter, e la persuasiva performance da parte di Joy.

Il finale è indubbiamente meno di impatto di quello di Seven, pur essendoci un'interessante svolta sull'ultimo pezzo mancante per assemblare un messia malconcio e maleodorante (la scena del ritrovamento è una delle più inquietanti). La follia del criminale sul tetto dell'ospedale, rappresenta bene ogni sorta di male. Qui, la speranza la fa da padrona, e dopo vicissitudini angoscianti, morti atroci, fughe rocambolesche, episodi atti a portare a pensare che anche questa volta l'oscura dama nera porrà la sua mano sull'ultimo, designato innocente, come un fulmine a ciel sereno l'incanto si rompe, e disegna un destino differente.