Enigmatico trabocchetto mortale, non rivela l'origine del male

Vincenzo Natali, autore e regista del cubo, sua opera d'esordio, manifesta una spiccata predisposizione per storie innovative (nel 2009 sarà al timone di un'altra pellicola molto, molto particolare: Splice). Il soggetto in questione dimostra subito di non scherzare, e, nonostante il low budget, ha molto da raccontare. 

Immaginate di ritrovarvi rinchiusi con altri cinque sconosciuti in un luogo ignoto. Aprite gli occhi, e boom, siete catapultati altrove, lontano da casa vostra e dai vostri affetti, intrappolati in un angusta stanza cubica con sei portelli (uno per ogni lato dell'ambiente), che si apre su altrettanti vani simili. Non esiste logica, nulla che abbia senso, o una risposta valida a quell'incognita fatale, qualsiasi domanda a quel punto sembra quasi banale.
In una circostanza simile, per come la vedo io, il primo obiettivo è non impazzire, e il secondo, trovare una via per fuggire.

Il cubo spiazza sicuramente lo spettatore con un inizio nudo e crudo, senza troppi  preamboli e soprattutto, spiegazioni. Il non sapere per quale motivo degli estranei siano stati imprigionati in una subdola, incomprensibile struttura, genera ansia e inquietudine. Non ci sono nobili motivazioni come in Saw, nessuna prova da superare per una redenzione non bramata ma imposta, nessun movente, nessuna motivazione, tante meno una qualsivoglia delucidazione.

L'architetto Worth, la dottoressa Holloway, il poliziotto Quentin, la studentessa di matematica Leaven e il ladro esperto in evasioni Rennes sono i prescelti per questo improbabile sperimentazione. Forse qualcuno li sta spiando, chissà, fatto sta, che nessuno di loro si conosce, o ha la più pallida idea del perché si trovi lì. La mancanza di cibo, acqua, cognizione del tempo, non aiuta la loro condizione. Oltretutto, in alcuni di quei cubi sono state installate trappole letali, e in uno di essi si trova un cadavere.

Rennes guida il gruppo alla ricerca della salvezza lanciando scarponi come test per capire se il locale è sicuro, ma sarò proprio il primo a farne le spese, quando entrerà in un vano il cui tranello si innesca a contatto con esseri umani, e morirà tra atroci sofferenze per un getto d'acido in pieno volto.

I  superstiti, scioccati, si ritroveranno a dover studiare un altro piano per proseguire. Sarà Leaven a prendere in mano la situazione, grazie a un'intuizione inerente ai numeri primi. Successivamente, sulle loro teste pioverà letteralmente un altro recluso. Si tratta di Kazan, un ragazzo con un disturbo mentale. Quell'aggiunta da alcuni sarà presa come un male, un elemento di intralcio pericoloso, che può rendere il loro cammino più rischioso. La dottoressa tuttavia lo prenderà a ben volere.

I successivi sviluppi saranno interessanti anche da un punto di vista psicologico. Da notare come anche in un percorso tanto burrascoso, dove l'unione dovrebbe fare la forza, l'animo umano tenda a tirare fuori il peggio, dimostrando buone dosi di cattiveria, egoismo, ed esasperante follia.

Enigmatico, angosciante, questo esperimento del cubo risulta essere vincente nella sua semplicità di un'idea geniale, messa in atto con pochi mezzi, pochi attori, battute non sempre vincenti, e trucchi di regia decisamente convincenti.