Specchio, specchio delle mie brame: chi è il miglior Candyman di tutto il reame?

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Lo ammetto: non è stato facile accostarmi a questo sequel/reboot, proprio per niente. Quando viene toccata un'opera di Clive Barker, mi manca l'aria, ne sono cosciente. Ho adorato il primo Candyman, ho perso il conto di quante serate spese nella superba visione, e il pensiero che si differenziasse troppo dalla trama originale, beh, non posso negarlo, un po' l'avevo presa male. Ora, detto ciò, questo riadattamento è furbo e ben pensato, poiché, in principio si scosta dal narrato iniziale, e in seguito gli strizza l'occhio, in modo da far tornare i conti e non farci urlare, a noi sì, ancorati a quella vecchia tradizione che ha un solo nome e cognome: Tony Todd. L'idea di rendere questo mito una sorta di vendicatore che lascia le consegne a un nuovo sostituto vince bene, ed evita che in fin troppi si ritrovino a storcere il naso (inclusa la sottoscritta).

 

Anthony è un pittore di Chicago è in cerca di ispirazione per un nuovo lavoro che gli hanno commissionato; impossibile confutarlo, ai miei occhi è parso un artista forzato, pure un poco sfigato. Dopo aver ascoltato una leggenda metropolitana, si aggrappa a quella storia alla ricerca di una scintilla creativa, che possa rappresentare per lui una degna svolta. Inizia così a vagare per Cabrini-Green, il quartiere protagonista di quella vicenda ormai morta e sepolta. L'uomo si imbatte casualmente in Burke, proprietario di una lavanderia, che ha una discreta voglia di enunciare numerosi dettagli, compresa la favola dello specchio e dell'appellativo ripetuto cinque volte. 
Anthony sviluppa una mostra d'arte su questa tematica, ma non ottiene il successo sperato. Come se non bastasse, dopo che quell'epiteto tanto azzardato verrà pronunciato, incomincerà un massacro ovviamente annunciato. Però, la parte più succosa e interessante sarà scoprire il reale coinvolgimento dell'imbrattatele con Daniel Robitaille, ecco, devo ammettere che in questo frangente, gli sceneggiatori piazzano un colpo di scena stupefacente. 

 

Buona prova, atta a confezionare una pellicola tosta che non va a cancellare le origini, e aggiunge un tocco personale a una novella eccezionale. Yahya Abdul-Mateen II convince nei panni di un individuo tormentato, che in cerca della tanto sospirata fama, si ritroverà condannato. La giovane mano di Nia Dacosta mette a punto una regia risoluta, seppur non paragonabile a quella di Berard Rose. Di gore ce n'è e la qualità è pressoché eccellente. Quindi, che dire gente? Questo è un prodotto di tutto rispetto, vale la pena affrontarlo con un sorriso beffardo davanti a uno specchietto. Riuscirete ad arrivare al numero tanto temuto, o il vostro cervello obietterà, ponendo un secco rifiuto?