Un uomo deluso dalla società civilizzata si impegna anima e corpo per proteggere chi più lo merita, ossia un branco di grizzly. Una storia vera di cui Werner Herzog riorganizza le testimonianze video per presentare la sua visione sul rapporto fra uomo e natura. 
Timothy Treadwell (Tim) non è un personaggio di fantasia, bensì un autentico reietto di quel grande dispensatore di illusioni chiamato american dream. Se inizialmente Tim risponde al fallimento col banale binomio alcol-droga, la vicenda si fa interessante quando decide di mollare tutto e trascorrere ogni estate dell’anno nella riserva naturale di Katmai, in Alaska. Avvolto dalla bellezza di un mondo incontaminato, recide ogni cordone ombelicale con la civiltà, allacciando al contempo un rapporto simbiotico con le creature che popolano il parco, fra cui alcuni esemplari di grizzly. La sua volontà di proteggerli dal bracconaggio rappresenta il pretesto per oltrepassare le leggi non scritte sul rapporto fra uomo e animale. Un azzardo stupefacente che sa regalare ineguagliabili picchi di gioia e che, forse, rende meno amaro il destino di ogni fuorilegge: la pena.     
L’animo sensibile di Werner Herzog non poteva rimanere indifferente alla storia di questo folle visionario, la cui chimera non corrisponde al desiderio di vivere come un orso, ma alla volontà di essere un orso. Tuttavia il giudizio del regista non è mosso da compassione e pertanto risulta chiaro nella sua lapidaria lucidità. Egli afferma di riconoscere nello sguardo di quei grizzly mastodontici solo ed esclusivamente la “ricerca meccanica di cibo”; niente affetto, niente sentimenti, niente comprensione, niente empatia, come invece sostiene il protagonista. Tale concetto evoca direttamente quanto lascia intendere Leopardi nel Dialogo della Natura e di un Islandese, ossia che la natura è del tutto indifferente alle vicende umane: “quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avvengo […] E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”. Per inciso, appare oggi tristemente plausibile anche il discorso a parti invertite, ma non è questo il punto. Il problema sta nella difficoltà di chi volesse smentire l’aspetto brutale della natura. Ogni sostenitore della comunione di spirito fra animo umano e mondo naturale prima o poi deve risolvere il contrasto con l’analisi di Herzog. Eppure fa da contraltare il legame di rara empatia che sembra instaurarsi fra Tim e la volpe, un animale schivo e selvatico che sente di potersi fidare a tal punto da affidare all’uomo il bene più prezioso: la sua cucciolata. Di questo il regista non parla. Non parla dell’inestricabile rapporto uomo-natura in grado di trascendere la materialità per approdare verso quei luoghi di pienezza, come li chiama Charles Taylor, che il cinema sa e deve esplorare; si pensi a Into the wild (2007) o Avatar (2009). Colui che abbia mai avvertito un simile sentimento sa bene cosa si prova, e magari anch’egli, sdraiato insieme a Tim, sotto una tenda martoriata dalla tempesta, avrebbe sorriso esclamando “I love it!”. Ma le pulsioni meccaniche che discendono dai freddi istinti naturali rimangono lì a sedare ogni slancio di romanticismo, ed è bene non illudersi del fatto che Leopardi abbia torto, anche se, in fondo, le due visioni potrebbero coesistere. Non si uccide, forse, anche per amore?
Come spesso gli accade, Herzog danza sulla linea di confine che separa il film dal documentario. Se da un lato, infatti, assistiamo alle riprese effettuate dallo stesso Treadwell durante i suoi temerari soggiorni, dall’altro il regista plasma la celluloide piegandola al proprio punto di vista. Non mancano quindi interviste ad hoc rivolte agli amici di Tim e soprattutto il suo commento fuori campo, pronto a sottolineare i passaggi più salienti e a fornire le chiavi di lettura, tant’è che qualcuno potrebbe trovare ingombrante tale marcata presenza. Per converso, la bellezza dei paesaggi, la passione di Tim e la potenza emotiva dei suoi approcci con il mondo animale mettono tutti d’accordo, poiché costituiscono fonte di nutrimento per gli occhi e per l’anima.