Recensione di   Henri Floyd Lynch Henri Floyd Lynch

Dieci inverni

(Film, 2009)
Dieci inverni è un’opera che evoca scuri pensieri sulla nostra condizione di debolezza nei confronti delle sovrastrutture culturali che nel tempo abbiamo interiorizzato. Un giorno può accadere, per esempio, di trovarsi inaspettatamente a letto con qualcuno/a e che ciò, pur in assenza di sentimento, non dispiaccia. Eppure, capita che invece di assecondare il momento con naturalezza ci si lasci inibire dal giudizio ingombrante del Super-Ego o, se si preferisce, dell’altro generalizzato. Si pensa così all’immagine che apparirà di noi in conseguenza dell’azione che si sta per compiere, sia agli occhi degli altri sia, soprattutto, ai nostri. Può accadere, allora, che quello stesso momento venga procrastinato per giorni, mesi o anni (addirittura dieci, nel nostro caso) e che nel frattempo una moltitudine di persone abbia sperimentato sofferenze più o meno gravi dovute all’incapacità di ascoltare le emozioni, di abbandonarsi alla corrente della vita, al flusso inarrestabile di tutte le cose. Infine, potrebbe addirittura accadere, beffa delle beffe, che lasciar frollare i sentimenti per una decade non serva a trasformare un rapporto presumibilmente occasionale (in fondo chi può dire come sarebbe andata a finire?) nell’amore della propria vita. E il lento carrello finale con cui la macchina da presa si allontana dai protagonisti non promette nulla di buono.

Dieci inverni affronta un tema tutto sommato interessante, peccato che rispetto alle intenzioni del regista esso emerga in maniera del tutto involontaria. Se la volontà, come temo, era invece quella di raccontare una storia d’amore delicata e originale, l’obiettivo sembra fallito. In primo luogo, la scelta di suddividere l’opera in dieci corti appare difficile da giustificare e frammenta il racconto senza tuttavia incrementarne il ritmo. Si rimane così alla disperata ricerca di una continuità narrativa che possa fungere da antidoto al sonno. Questo è ciò che può accadere quando si sfrutta lo spezzatino temporale per nascondere una scarsa vena creativa in sede di sceneggiatura. Inoltre, alcune situazioni appaiono forzate, vedasi il matrimonio della ragazza russa. Quello che rimane sono delle belle ambientazioni, un’ottima fotografia e una regia abbastanza ispirata in certi frangenti, ma ciò non basta a salvare lo spettatore dalla noia e il film dall’insufficienza.