"Dì la verità!
Dì la verità!!!
Dì la verità!!!!"

Urla il mostro-Tasso a Conor, nella scena più forte ed importante del film.
Quella verità inconfessabile che quel bambino non riesce a dire, non non può riuscire a dire.
Quella verità che sembra così innaturale, quasi immorale, sbagliata.
Quella verità che anche io, 7 mesi fa, sapevo essere dentro di me ma non riuscivo del tutto a tirar fuori.
E quella verità è desiderare che una delle persone più importanti della tua vita - la madre nel caso di Conor, mio padre nel mio - se ne vada.
Muoia.
Desiderarlo ogni notte nell'ultimo devastante periodo.
Perchè troppo grande il dolore, perchè troppo evidente che non c'è più speranza, perchè troppo massacrante quell'ultimo tempo speso insieme.
Ecco, questa favola nera così bella, coraggiosa e scomoda ti lascia questo insegnamento.
Dire la verità.
Dirti la verità.
Inutile ammettere come la visione di Sette minuti dopo la mezzanotte sia stata, per me,  massacrante.
Quando alla fine del film viene sappiamo finalmente cosa era "la quarta storia", cosa era "la verità", quando scopriamo il fine del percorso di consapevolezza che il Tasso stava facendo conoscere a Conor, io sono crollato.
E sì, anche io urlavo negli ultimi tempi "fa che muoia, fa che finisca tutto".
Fa che quegli occhi piccoli e ormai senza vita del babbo si spengano del tutto.
Fa che quella bocca che prova a parlarmi ma da cui non esce nulla smetta di muoversi.
Fa che io domani notte non debba tornare all'ospedale a guardarlo 5 ore così.
Basta, fai smettere tutto.
E dire tutto questo è una catarsi.
E le catarsi più belle sono sempre dolorose.
E che il desiderio di morte sia un atto d'amore è qualcosa che è sempre difficile da accettare.




E ora, boh, come parlo del film?
De sto film in cui Bayona per la seconda volta nella sua vita (la prima con The Orphanage, il mio horror del cuore degli anni 2000) è riuscito a toccarmi così tanto nel profondo da stravolgermi?
Ecco, Sette minuti dopo mezzanotte (A Monster Calls il titolo originale, davvero bello) è un fantasy a tinte drammatiche davvero notevole, uno di quei titoli che chi ha amato cose come Il Labirinto del Fauno non può perdersi.
Come dicevo prima (ma non ci fate caso, è ovvio che la mia vicenda personale mi abbia condizionato) la cosa più grande che ho trovato in questo film è il coraggio.
Raccontare di come, attraverso la fantasia, la sublimazione del dolore e il rifugio in altri mondi, un bambino possa arrivare a dire (perchè è vero che nel film è il Tasso a fargli arrivare questa consapevolezza, ma è anche vero che tutto il film, alla fine, è metafora di un percorso che stava facendo lo stesso bambino, bambino che probabilmente delega ai sogni e alla fantasia "bisogni" che non vuole accettare esser suoi), dicevo, raccontare di come un bambino possa arrivare ad urlare di desiderare la morte della madre (attenzione, nel senso più bello del termine, quella madre è tutto per lui e di figura così straordinaria che non riesce ad accettare l'inevitabile) è qualcosa davvero notevole da proporre.
E il film riesce ad arrivare a quella "rivelazione-catarsi" in modo splendido, attraverso un percorso suggestivo e super interessante a livello psicologico.
Prendiamo ad esempio la rabbia di Conor.
Quella rabbia che a lui sembra naturale risposta a tutto quello che sta vivendo.
Quel suo odiare quasi tutto e tutti.
Ecco, il film, attraverso dei personaggi magnifici, di grande sensibilità, racconta di come quella rabbia sia dovuta lasciar sfogare.
La nonna, la madre, il padre, la preside, tutti malgrado le azioni violentissime di Conor capiscono che non serve alcuna punizione, che non servono rimproveri, che scagliarsi contro il bambino possa solo peggiorare le cose.
E Conor si ritrova così spaesato, quella sua reazione al dolore, che potremmo riassumere con un "sono violento = merito una punizione" non è che la reificazione di quello che scopriremo nel finale, ovvero "desidero che mia madre muoia = merito una punizione".
Ma per sua fortuna Conor si ritroverà vicino tutti adulti notevolissimi, virtuosi, intelligenti, empatici. Il suo mondo-magico del mostro-tasso andrà di pari passo col suo mondo reale dove tutti, con calma, pazienza ed amore, cercano di accompagnarlo all'inevitabile.
Direi quasi che in questo senso A Monster's Call, film sicuramente non perfetto, magari per qualcuno retorico e apparentemente "di genere", possa essere considerato importante e, addirittura, didattico, di vero e proprio insegnamento (del resto se ha fatto breccia ed è "servito" a un 45enne come me immagino quanto, anche se con dolore e complessità, possa far bene a ragazzi più giovani).
Andando più nel particolare ho trovato leggermente "strane" e forse un pelo incoerenti le tre storie.
Le prime due a cartone animato, la terza no.
La seconda e la terza con uno sfogo pratico (casa distrutta, bullo pestato) e la prima no.
Quello che raccontano sono cose non scontate e non di facile presa ma, alla fine, sono tutte storie "violente" che insegnano come quasi mai è facile individuare chi sono i "cattivi, come a volte le punizioni spettano anche a quelli che sembravano le vittime, come le stesse vittime possano nascondere dentro di sè i carnefici.



Forse servirebbe una seconda visione del film per vedere se queste tre storie hanno un percorso coeso, individuabile, perfetto per la rivelazione finale (la verità della quarta storia).
Ecco, ho avvertito una certa confusione in questi racconti, suggestivi sì ma un pochino "casuali", messi alla rinfusa.
Che bello però rivedere Kebbel, che bello il Tasso, che bella questa storia dove tutto sembrava già scritto, anzi, disegnato (i racconti altro non erano che degli schizzi della madre bambina, come se avesse lasciato un'eredità di storie che, un giorno, avrebbero salvato il figlio, lo avrebbero aiutato ad accettare tutto).
Ci sono tante suggestioni, vedi King Kong (ancora una volta il presunto mostro da uccidere, in realtà una vittima), vedi il discorso sull' "invisibilità" (che porta anche alla consapevolezza per Conor che alla fine le sue azioni violente non suscitano rabbia, che siano solo inutili) e tante altre piccole parti di cui mi sarebbe piaciuto parlare ma che, adesso, mi sembrano troppo piccole rispetto a quello che il film mi ha raccontato.
E ho la netta sensazione che questa recensione non sia lucida, non sia obiettiva.
Ho la netta sensazione che non sia nemmeno una recensione, in verità.
Con calma, a freddo, rivedrò il film e, a chi mi chiederà, saprò raccontarlo in maniera più serena, come fosse un film.
Ma mi è servito per dire quello che ho detto.
E sono sicuro che, babbo, tu, almeno tu, in quel desiderio di non vederti più capisci l'amore che c'è dietro.
E in quella tua ultima immagine prima che la bara si chiudesse, in quegli occhi finalmente chiusi, in quella bocca finalmente serrata, c'era una serenità così meravigliosa che so che quel mio desiderio, alla fine, era anche il tuo.